Un tuffo a sud dello Stretto

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Non è raro che io mi immerga da solo. Il rapporto uomo – mare, in solitaria, è molto forte e il contatto con la Natura del mare esaltante. Non ci sono dubbi. Dopo una vita di immersioni e quel pizzico di esperienza accumulata negli anni, mi godo il mondo sommerso solo con me stesso e mi concentro sulla vita, sulla dimensione acquatica, su ciò che mi circonda e accade in quei pochi minuti concessi da un’immersione. L’ultimo tuffo, a sud dello Stretto, mi vede pronto ad affrontare una delle solita scarpate di sabbia e detrito, quello che si definisce “fondo mobile”, per la sua inconsistenza dovuta ai sedimenti di diversa pezzatura continuamente smossi dal moto ondoso e dalle correnti. Entro in acqua e mi lascio accogliere dal tepore di un Mediterraneo ancora caldo di fine autunno; vesto una muta umida per assaporare, fin quando possibile, le carezze del mare sulla pelle. Mi affaccio al sommo della scarpata di sabbia e inizio la discesa verso le profondità dello Stretto.

Acqua abbastanza pulita e ottima luce radente a ore 10, alle mie spalle verso sinistra (da buon fotografo leggo ovunque la qualità e la direzione della luce). La vita bentonica offre i suoi primi rappresentanti con masse rotondeggianti grigio scuro, quasi nere, con forme cangianti e morbide: sono poriferi, spugne per intenderci, piccole isole semirigide che si sollevano dal fondo piatto sabbioso offrendo riparo e protezione a una moltitudine di piccoli animali che vivono la loro esistenza con  una stretta dipendenza dal fondale. In genere queste spugne nascono aderendo a una o più pietre ed espandendosi fino a creare una massa che può raggiungere anche i 50 cm di diametro. Non mi soffermo su questo microcosmo perché la mia attenzione è attratta da uno sciame di piccoli trombetta all’orizzonte: sono ancora a soli 26 metri di profondità e vedo questi pesci in formazione come quasi accade in genere a oltre 40 m di fondo.

Il banco di pesci trombetta è qualcosa di affascinante. Sono le sinuose forme assunte dal banco nel suo insieme, durante il nuoto e gli spostamenti, a creare scenari di rara bellezza. I trombetta, sulle distese infinite di sabbia di questi  fondali, si concentrano laddove trovano un riferimento, che può essere una nassa relitto o la vecchia carcassa di una piccola imbarcazione, o ancora una rete aggrovigliata sul fondo. Ma soprattutto reti e gomene, ancora in posizione elevata rispetto al fondale, grazie a ciò che resta di qualche galleggiante che svolge ancora la sua funzione.  In pratica, con un riferimento di questo tipo, il banco resta nei dintorni, non si allontana, attratto probabilmente dal cibo che qui reperisce e anche rassicurato dall’avere un qualcosa di materiale a cui addossarsi in caso di pericolo. Tutto questo consente al subacqueo di avvicinarsi notevolmente al banco e di osservarne gli spostamenti, le virate, il nuoto sincrono, il comportamento, ovviamente con la dovuta cautela. L’ideale sarebbe avvicinarsi lentamente, avanzando con piccoli spostamenti puntellandosi con le ginocchia sul fondo, mantenendo sollevate le pinne dietro la schiena per non sollevare sedimenti e intorbidire l’acqua nel punto in cui ci troviamo. Restando fermi capita di rimanere circondati dai pesciolini, che scorrono di lato ora in un senso ora nell’altro, sfilando come piccole freccette (il muso proteso come una piccola tromba, da cui il nome, e il nuoto a testa in giù, li rendono unici tra i pesci del Mediterraneo), sempre sincronizzati e organizzati secondo una disciplina istintiva formidabile.

Come sempre, osservo interessato e ammaliato, nonostante i ripetuti incontri negli anni (a certe cose non ci si abitua mai). Scatto cercando di selezionare istanti in cui il movimento possa essere particolarmente estetico. E loro nuotano, frenetici, invertendo la marcia con un testacoda generale del banco. Rimango li sul fondo, solo con loro, per una manciata di minuti; sono istanti di straordinaria intensità, congelati solo in parte da un sensore digitale che mi consentirà di rivivere quella magia e ricordare, per sempre!

Foto e testo di Francesco Turano

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