Pesca d’altura a San Vito lo Capo
di Ninni Ravazza.
Non ci saranno i maestosi marlin de “Il vecchio e il mare”, ma al largo di San Vito lo Capo è possibile praticare la traina d’altura, con risultati a volte esaltanti, sempre comunque divertenti.
Il presupposto è che si ami molto il mare e che la cattura non sia lo scopo principale (o almeno l’unico) dell’uscita; se si è disposti a fare cinque, sei, otto ore di navigazione lenta assaporando l’aria salata e riempiendosi gli occhi di meraviglie, allora questa è la pratica giusta. Capita anche di riempirsi la bocca di ottimi pesci, oltre che gli occhi.
Il periodo giusto va da settembre a dicembre, quando al largo della costa passano i grandi branchi di pesci migratori: lampughe (“caponi”), tonni, pescispada, aguglie imperiali (il marlin di casa nostra), tonnetti alletterati, alelunghe; più vicino alla costa ci sono pure gli aluzzi, le ricciole e le palamite, anch’esse pregiate prede della traina.
Tenendo bene in conto le limitazioni e i divieti per quanto riguarda la cattura di tonni e pescispada, ogni uscita di traina d’altura è un’avventura da vivere con gioia e passione; se in barca c’è anche un buon vino bianco ghiacciato e un panino imbottito, meglio ancora.
La barca deve essere seria, di quelle che affrontano il mare formato e ti riportano a terra comunque, meglio dunque se con due motori: la distanza da raggiungere – pur non eccessiva – è sempre ragguardevole, e spesso si raggiungono le 12 miglia soglia massima per la maggior parte delle imbarcazioni da diporto (e se non si sta attenti al Gps, può capitare di andare ancora più lontano, e al ritorno spesso il mare non è calmo come al mattino).
La bellezza di questo tipo di pesca sta nella sensazione di libertà e serenità che si prova guardando la terra da lontano, là dove nemmeno i cellulari prendono (e dunque a bordo devi avere il Vhf o il Cb); se poi in barca sei solo, magari per un attimo ti paragoni ai navigatori solitari le cui avventure hai letto e ti hanno affascinato.
Passiamo alla pesca: la traina d’altura presuppone una buona dose di fortuna, poiché si spera sempre di far passare le esche vicino ai grandi predatori. Ci sono le zone migliori (per la presenza di prede naturali, per correnti e altro), ma non c’è una secca da girare, una orlata da seguire. Si va e basta. Al largo di San Vito le catture migliori le ho fatte in direzione … (no, perché privare il lettore del piacere della scoperta?). La velocità varia da 3,5 nodi a 6, ma io preferisco andare lento. Le canne e i mulinelli devono essere in grado di farti divertire con un capone da un chilo ma di resistere anche a un tonno da 40 chili (più spesso capita il primo però). Le esche … ognuno ha i suoi segreti, ma io ho realizzato che ogni anno i pesci prediligono una esca in particolare, forse per la preminenza di prede naturali diverse: quattro stagioni anni fa era la piuma rossa e bianca, l’anno scorso i kona head blu e bianchi e i minnows celesti (tre stagioni addietro non si videro o quasi grandi predatori), quest’anno ho avuto risultati solo con i minnows da 9 a 18 centimetri, celesti, blu, testa/rossa, arcobaleno e gialli (a seconda della luminosità). Un po’ di pesce l’ho preso, un po’ l’ho perso, qualcuno mi ha rotto l’esca, uno mi ha infilato l’ancorotto nella mano mentre cercavo di slamarlo. Una buona stagione, insomma.
Le prede: ogni pesce catturato è un’emozione, ma se poi è pure grosso l’emozione è maggiore ancora. Anche se la meta è a dieci, dodici miglia da terra, vale la pena calare le lenze già appena fuori dal porto: sottocosta si possono trovare aluzzi (lucci di mare), ricciolette, palamite, bisi/tombarelli, pesci che vanno dai 500 grammi ai due, tre chili; divertenti da catturare e ottimi in cucina (i primi tre in particolare). La loro cattura non presenta difficoltà, sono piccolini e si tirano a bordo facilmente.
Appena più fuori, e fino al largo, si possono trovare i tonnetti alletterati, e allora se sono di dimensioni buone la cattura diventa davvero impegnativa e divertente, soprattutto se effettuata con canne super leggere (io accanto ad una 15/20 libbre da traina calata a 70 braccia impiego una 12 chili da jigging, resistente ed elastica, con 35 braccia di filo; i mulinelli sono esclusivamente Penn, uno rotante e uno a tamburo fisso). L’alletterato combatte con tutte le sue forze (che sono tante), e spesso quando sei convinto di averlo in barca effettua rapide fughe che prendono decine di metri di filo al mulinello, la cui frizione va tarata media. Se la ferrata è buona, alla fine verrà a bordo, ma dopo diversi minuti di combattimento. La sua carne è molto buona, e al forno farà la sua ottima figura.
Appena superate le prime miglia, arriva il regno delle lampughe (caponi), combattive e saporite nel piatto; solitamente gli esemplari maggiori pesano un paio di chili, ma raramente (purtroppo) se ne pescano anche di 10/18 chili, e allora viene messa a dura prova la bravura del pescatore e la resistenza degli attrezzi. Questo pesce si cattura anche con lenze a mano calate a poca distanza dalla poppa della barca (15/20 metri).
Assieme alle lampughe/caponi si catturano anche esemplari giovanili di tonno rosso (da 300 grammi a due, tre chili) ma questi vanno rilasciati perché la loro pesca è vietata (già tirarli sottobordo è un divertimento, poi vanno slamati e lasciati liberi).
Arrivati a buona distanza dalla costa, entriamo nel regno dei grandi predatori; qui sono di casa i tonni adulti e i pescispada. Per i primi bisogna rispettare le leggi in materia di cattura del Tonno rosso … ma se abbocca sapremo che di lui si tratta solo quando sarà sottobordo: qui a seconda della situazione personale del pescatore (autorizzazione o meno) sarà possibile issarlo a bordo o si dovrà rilasciare. Comunque vada, il recupero di un tonno di media/grossa taglia sarà un’esperienza esaltante, emozionante e anche stancante; è possibile che ci voglia un’ora e più per portare sottobordo questo Signore del mare, che farà di tutto per fuggire. Canna e mulinello saranno messi davvero alla prova, e con loro braccia, spalle e schiena del pescatore. Fughe improvvise, affondamenti, stop e ripartenze … così il tonno si batterà fin quando avrà forza, poi si abbandonerà alla trazione del filo (se questo ha resistito) e alla fine si riprenderà solo alla vista della barca. Un tonno stanco si può facilmente liberare dall’amo e restituire al mare, dopo averlo fatto ossigenare se possibile.
Diverso è il discorso con i pescispada, che se di piccola taglia combattono solo nei primi minuti, poi si fanno tirare quasi senza reagire. Questi rostrati spesso vengono allamati per la spada, che usano per stordire le prede, e così è possibile liberarli senza avere provocato ferite gravi (nelle foto c’è la liberazione di un piccolo spada “puddicinedda”). La “toccata” del pescespada è semplice da capire: raramente attacca direttamente l’esca, ma solitamente la colpisce ripetutamente con la spada prima di restare allamato: la canna si flette più e più volte, e allora è opportuno diminuire al minimo la velocità della barca per favorire la penetrazione dell’amo. I pescispada più grossi compiono grandi balzi fuori dall’acqua per liberarsi dall’amo, e spesso ci riescono.
Ma la preda di lusso nella traina d’altura, peraltro non soggetta a limitazioni, è l’Aguglia imperiale, parente mediterraneo del marlin: si tratta di un pesce piuttosto raro, ma se si ha la fortuna di allamarne uno, allora sarà davvero la gioia del pescatore. Anche l’Aguglia è un rostrato e non attacca direttamente l’esca, ma la colpisce con lo spadino che è più corto e fino rispetto al pescespada; se l’amo penetra, inizia un combattimento che resterà per sempre nella mente. Altissimi salti fuori dall’acqua, fughe improvvise in tutte le direzioni, affondamenti e riemersioni, tentativi di superare in velocità la barca (e allora è necessario aumentare i giri del motore) … decine e decine di minuti di adrenalina purissima. Infine, se tutto va bene, l’Aguglia imperiale arriva sottobordo, ma non si arrende, continua a saltare e immergersi, e questo è il momento più delicato: se non si usa velocemente e bene il raffio il pesce passa sotto la barca e taglia la lenza. Mi è capitato. C’è da dire che questo bellissimo pesce – quasi impossibile a trovarsi in pescheria – ha carni saporite che ben si prestano a più di una ricetta.
Al termine di questa breve e incompleta relazione sulla traina fuori costa a San Vito lo Capo, mi piace elencare una serie di considerazioni del tutto personali:
– la battuta di pesca in altura è il fine, non il mezzo per pescare: navigare nella quiete del mare lontani da terra e dalle persone, con la musica del ronfare tranquillo del motore, è di per se stesso un obiettivo, si prenda o meno del pesce;
– un aperitivo gustato a dieci o più miglia dalla costa è una esperienza meravigliosa;
– vedere la canna incurvarsi per la ferrata e sentire la frizione del mulinello che gracchia al fuggire del filo regala emozioni e stupori che da soli valgono una vita;
– pescare in queste condizioni è un confronto alla pari col pesce: uno contro uno, con le medesime possibilità di successo, soprattutto se si usano attrezzature leggere;
– non si fanno stragi con questo tipo di pesca, che risulta compatibile con il rispetto del mare e dei suoi abitanti;
– il rapporto che si instaura con la propria barca, quando si va lontano da terra, è qualcosa che somiglia molto all’amore;
– io a mare, anche ben lontano dalla costa, ci vado quasi sempre da solo: solo così riesco a gustare appieno il mare, la pesca, la natura. Nelle lunghe ore di navigazione/traina riesco a non pensare a nulla, sono felice e basta;
– infine, la cattura di un grosso pesce lontano da terra, da solo, alle prese con canna, motori, lenze, raffio, aumenta la autostima (che nel mio caso è smisurata!) e aiuta non poco a districarsi nel mondo “terrestre” e lavorativo.