Il corallo del Marocco. Quando iniziò l’avventura

Print

Corallo, oggetto del desiderio per tutti i subacquei del Mediterraneo. Leggenda e avventura. Cosedimare è in grado di raccontare per la prima volta in assoluto l’inizio della epopea della pesca in Marocco, uno dei Paesi del Maghreb (ma anche dell’Atlantico orientale) più importanti per la pesca del prezioso fiore degli abissi. Si tratta di una anteprima delle avventure nei mari del Marocco che saranno pubblicate nella nuova edizione di “Corallari” di Ninni Ravazza (Magenes editore, Milano) in libreria la prossima estate; le testimonianze si devono ad Anne Angelini Brossard, che nel 1978 accompagnava il corallaro francesce Max Philippe Couteau nelle sue peregrinazioni alla ricerca dell’Oro rosso. Qui pubblichiamo una brevissima sintesi che riguarda l’inizio di quell’avventura.

Dopo aver pescato il corallo in Francia, Corsica e alle Baleari, Max e Anne arrivarono dalla Corsica via Malaga e Al Hoceima con il peschereccio armato a ketch “Galathèe” nella baia di Belyounech (chiamata anche Benzù), proprio di fronte a Gibilterra; la barca, lunga 12 metri, era stata loro prestata da Thierry Proust (autore della foto della baia). Notizie raccolte nei porti del Mediterraneo dicevano che lì c’era molto corallo di buona qualità, che i sommozzatori spagnoli avevano pescato a bassa profondità. Sulla baia non c’era praticamente nulla, solo un bar abbandonato, tre o quattro barchette ormeggiate, un asino, e una “baleniera” dove fino a una ventina di anni prima si lavoravano i cetacei catturati nello Stretto di Gibilterra; sopra la baia un paese di poche case dove le donne erano il motore dell’economia, mentre gli uomini spesso fumavano kif* e giocavano a carte. Assieme a Max ed Anne c’era un’altra coppia francese, il corallaro “Barbette” con la moglie e un cane; Anne a Max presero una casa in affitto, Barbette con la moglie si sistemò nel bar abbandonato. Max era giovanissimo, aveva solo 23 anni, mentre Barbette aveva superato i 35 e pescava il corallo già da tempo.

Alle spalle del paese c’era una rocca chiamata Djebel Moussa o “Mujer muerta”, per la somiglianza con una donna sdraiata. Qui la leggenda vuole che si trovi una delle Colonne d’Ercole, un tempo confine del mondo.

I primi giorni furono particolari per Anne, che si adattò a quella vita spartana e poi venne pienamente accettata dalla popolazione locale dopo avere incontrato lo sciamano del posto e avergli portato un omaggio, ricambiato dall’uomo.

Le immersioni alla ricerca del corallo – trovato subito – iniziarono nella baia, e poi si spostarono sotto la scogliera a ponente e infine proprio nello stretto; la profondità andava dai 55 agli 80 metri, si sommozzava esclusivamente ad aria, le correnti erano fortissime e l’acqua gelida; il corallo però era abbondante e i commercianti napoletani lo pagavano bene. Il primo corallaro marocchino fu Dadi Bakhlaki, che lavorava con suo cugino. Pochi mesi dopo Max e Barbette arrivarono in Marocco da Roma Sandro Farassino e da Grosseto Miraldo Utzeri, con un gommone Zodiac trainato da un furgoncino (i due erano già stati a Benzù prima del 1978), e successivamente Marco Malaguti da Ferrara, che a Benzù pescò il corallo con Dadi (è di questi le foto che lo ritrae con Marco). Tutti iniziarono a pescare nella stessa zona. Dopo un primo periodo Marco e Max cercarono il corallo nel sud del Marocco atlantico giungendo fino a Tantan, sarebbero voluti andare ancora più a sud, ma le tensioni politiche nella zona sconsigliarono di procedere. Subito dopo entrambi parteciparono alla grande avventura del Banco Scherchi (1978/1981), dove convennero i sommozzatori di tutto il Mediterraneo. In quella occasione Max e Anne vissero alcuni mesi a Trapani, e la barca con cui l’uomo lavorava era il motopeschereccio “Ringo”.

Dieci anni dopo, nel 1988, Marco Malaguti si recò a pescare il corallo ad Asilah sulla costa atlantica, chiamata l’Eldorado del Marocco; Max non era con lui perché in quei tempi era a lavorare in Vietnam.

Dopo l’avventura di Max, Marco, Sandro, Miraldo e Dadi arrivarono in Marocco tanti altri sommozzatori, che pescarono in condizioni difficilissime, con correnti tremende e acque gelide; tra questi i famosi Massimo Scarpati e Paolo Pane, e i trapanesi Raimondo e Carmelo. Di loro potrete leggere nel libro di Ninni Ravazza. Marco Malaguti è scomparso per una malattia nel 2000, Miraldo nel 2015.

 

*il Kif è una combinazione di cannabis e tabacco nero, e negli anni oggetto del racconto era assolutamente legale; gli abitanti del Marocco lo hanno usato per secoli per le sue proprietà alimentari, energetiche, sedative, analgesiche. Il suo impiego aiutava a sopportare meglio la durezza del lavoro e il freddo. Solo in seguito, con l’arrivo di comunità hippies si diffusero pratiche di creazione dell’haschich, il cui consumo e vendita fu proibito.

 

(Un grazie di cuore ad Anne Angelini Brossard che ci ha fornito le notizie; anche lei sarà presto ospite di Cosedimare, e sarà tra i protagonisti del libro. Le immagini sono di Thierry Proust  [la baia di Benzu, photo@thierryproust/galathèe]  e di Dadi Bakhlaki [lui e Marco Malaguti col corallo, @bakhlaki/ANPCM])

Print

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*