Il corallo e la sirena

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di Ninni Ravazza

Mare e donne, amori e avventure, miraggi e realtà. Un racconto sospeso tra sogno e quotidianità, dove il vero è preponderante sulla favola

Nuotavo – passeggiavo? – settanta metri sotto la superficie del mare, ai piedi di quella maestosa falesia sommersa che corre parallela alle rocce acuminate di Punta Nera, a ovest di Tahiti avrebbero cantato Edoardo e Lucio ma a me bastava trovarmi a ponente di San Vito. Mare di casa nostra, non meno bello.

Laggiù c’è il corallo, il più prezioso dei fiori del mare. Un sogno. La chimera. Il tesoro.

Guardando in alto i rami delle gorgonie filtrano la luce del sole, e nuvole di rossi anthias si aprono al mio passaggio, una timida aragosta si rintana nella profonda spaccatura dove le reti dei pescatori non la possono insidiare.

In barca ad aspettarmi c’è il Mozzo, ha occhi profondi e gambe da gazzella, seni rotondi e labbra rosse come il corallo; quando risalirò sull’ancora per la lunga decompressione mi verrà incontro trattenendo il fiato e mi scruterà dalla maschera colorata mentre i capelli lunghi e crespi si trasformeranno in gorgonie fluttuanti.

Ha rinunciato alla meritata promozione, si era imbarcata da mozzo e tale vuole rimanere anche se è diventata brava come il suo Ammiraglio – sarei io – a fare le manovre di ormeggio.

La roccia rischiarata dalla luce della torcia – c’è poca luce qui giù e i colori sono scomparsi da tanto – scorre sulla mia sinistra, pochi rametti di corallo colorano il grigio, troppo piccoli per trattenermi. Cosa cerco? non ho bisogno di pescare per vivere dignitosamente, né mi interessa la ricchezza – ma poi quando mai un “corallaro” è diventato ricco? Il fatto è che mi piace stare qui, in un mondo “altro”, come nelle favole. Sono dall’altra parte dello specchio. La superficie del mare è lo specchio. Una cernia affacciata alla tana è lo stregatto. Cerco il tesoro come nelle truvature che in terra di Sicilia hanno attirato generazioni e generazioni di giovani uomini e donne. Una pentola piena di monete d’oro. Il corallo è il premio per avere spegnato la truvatura. Se non lo trovo oggi, tenterò ancora domani. La ricerca è il mio fine, non il mezzo.

Gilgamesh cinquemila anni prima di Cristo cercava nell’Hapsu la pianta dell’eterna giovinezza e per farlo si faceva trascinare in fondo al mare da pesanti pietre legate ai piedi; io ho sulle spalle le bombole da trenta litri.

 

Il corallo diventa più grosso, ci sono rami da ottanta, cento grammi, valgono almeno seicento euro al chilo. Da qualche parte ci dev’essere il ciuffo buono, quello da chili e chili di oro rosso.

Ora la profondità è di quasi ottanta metri, sono prossimo al limite delle mie capacità. Nell’abisso qualcosa si muove, si avvicina, prende forma. E’ una Sirena. E’ bellissima. Mi chiama. Scendo per andarle incontro. Aumento la velocità di nuoto. I novanta metri sono vicini. La Sirena è sempre là, vicina eppure irraggiungibile. Deve essere stato così anche per il professore La Ciura, che ha seguito la sua Lighea nelle profondità, consapevole che quell’amore valeva molto di più del ritorno. Continuo a scendere, non penso ad altro che a raggiungerla. Il respiro diviene difficoltoso, lo sguardo si appanna. Poi un improvviso deflagrare di colori davanti a me, il rosso del corallo e il giallo delle gorgonie agitate dalla corrente. Non sono Martin Eden che si lasciò scivolare dalla nave quando capì che il mondo non lo amava per quello che era davvero. Lassù qualcuno mi aspetta. Mi fermo, la Sirena mi fa segno di seguirla. No. Risalgo. Non c’è dolore in quell’abbandono. Sessanta metri, quaranta, venti, la catena dell’ancora. Nuovamente i colori. Mi tiro su fino a nove metri, inizio la lunga decompressione. Nel coppo stavolta non c’è nemmeno un ramo di corallo. Ricordo vagamente della Sirena che mi aveva attirato là sotto. Capisco che l’ebbrezza di profondità mi stava vincendo, che bastava ancora un solo metro e non sarei risalito mai più. Il Mozzo mi raggiunge quando sono ormai a tre metri di profondità, la decompressione è quasi finita. Gli occhi ridono dentro la maschera colorata. E’ lei la mia Sirena.

La pesca del corallo è stata praticata nei mari di Trapani per secoli, e i “corallini” trapanesi sono stati famosi in tutto il Mediterraneo. Negli ultimi cinquant’anni i sommozzatori hanno preso il loro posto, andando a cercare l’oro rosso fino a profondità proibitive. Io per qualche tempo ho partecipato a quella esaltante avventura. La lettura di Tomasi di Lampedusa (“La Sirena”), Jack London (“Martin Eden”), “Gilgamesh” (saga sumerica), Lewis Carrol (“Alice nel paese delle meraviglie”), e le canzoni di Edoardo De Angelis e Lucio Dalla (“Sulla rotta di Cristoforo Colombo”), mi hanno fatto amare ancor di più quell’avventura.

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