Il naufragio di un sogno

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di Ninni Ravazza

Il bompresso indica l’orizzonte, là dove i sogni sfumano nel cielo che si tuffa in mare. Il fregio sopra l’occhio di cubia è il malinconico ricordo della eleganza che fu. Su quelle tavole sono passate il benessere degli imprenditori, le illusioni di un sognatore, le presunzioni di un arrampicatore sociale. Povera Matilde Fiore, motoveliero dalla bellezza altera deturpato dal tempo e vilipeso dagli uomini. I suoi resti estratti dalle acque del porto di Palermo vennero scaricati sui campi della Cala, non so se oggi esista ancora qualcosa di quel bastimento che ho conosciuto a metà degli ultimi anni ‘70 a San Vito lo Capo dov’era ormeggiato sulla testa della banchina, condotto fin lì da Christian che voleva farne una nave da crociera. Il pesante motore che lo faceva navigare si ruppe al momento della manovra, e da allora per anni non si è mosso da lì. Per aggiustarlo Christian cercò il corallo in mezzo Mediterraneo, ma quando forse lo aveva trovato sparì nel mare di Tunisia. Era il 1982. Si narra che i compagni di pesca lo fecero annegare per impossessarsi del tesoro, ma forse è solo una leggenda triste, di quelle che una volta si raccontavano nelle taverne dei porti.

Era finita nei fondali della mia memoria la “Matilde”, ma a riportarla a galla sono arrivate le fotografie donatemi da Alessandro Farassino che assieme a Christian inseguì il fiore degli abissi, e da Silvia Caruso il cui avo Paolo nel 1945 aveva fatto costruire l’ammiraglia della sua famiglia di armatori e le aveva dato il nome “Giovanna Caruso”. Immagini dolci e dolorose, che evocano sogni infranti e vite perdute. Christian amava quella barca grande e bella, e per essa andò oltre i suoi stessi limiti. Si immerse nei mari di San Vito, del Banco Scherchi, di Biserta, sempre per rimettere in navigazione Matilde Fiore, ma le spese da affrontare erano superiori ai guadagni. Quando scomparve nei fondali tunisini la barca restò ancora un poco a San Vito, poi fu rimorchiata a Palermo dove il rampollo di una ricchissima famiglia dalle frequentazioni poco limpide avrebbe dovuto farne un veliero di lusso. Prima dei lavori di restauro arrivarono le manette per il proprietario. E prima del riconoscimento di Matilde quale barca d’epoca arrivò l’affondamento nelle acque melmose del porto palermitano.

Le tenaglie impietose della benna hanno estratto dal mare quel po’ di legno sopravvissuto alle ingiurie del tempo e degli uomini. A breve nessuno si ricorderà più di Christian e del suo sogno dal nome gentile, Matilde Fiore.

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Questa e altre storie faranno parte del mio prossimo libro dedicato anch’esso al corallo e ai suoi pescatori, ideale prosecuzione di  “Corallari” (Magenes, Milano, 2004). I miei ringraziamenti vadano ad Alessandro Farassino e Silvia Caruso per le fotografie di “Matilde”, e ad Anne A. Brossard per il ricordo di Christian. Un grazie a Tore Caruso, figlio di Paolo, per avere splendidamente ricordato nei suoi libri l’epopea degli armatori trapanesi nella prima metà del secolo trascorso. Un pensiero affettuoso al povero Christian, con il quale ho condiviso le cabine sui pescherecci del corallo alla fine degli anni ‘70, quando la gioventù autorizzava qualunque sogno.

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