In ricordo di Nitto, l’Uomo in più

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Di Ninni Ravazza

E’ scomparso Nitto Mineo, forse il più grande sommozzatore di tutti i tempi. Pescatore subacqueo, capitano di pescherecci, corallaro, l’uomo che inventò il mestiere di sub delle tonnare. Ma soprattutto una persona perbene, generosa, amata e stimata in tutto il Mediterraneo. Sott’acqua era fortissimo, si trattasse di tirar fuori una cernia dalla tana o spostare un’ancora; era l’amico di tutti i subacquei che per decenni sono passati dalle Egadi, che erano la sua casa: viveva a Levanzo ma era nato a Marettimo, però la fama internazionale gliela diede Favignana dove fu il sommozzatore della tonnara più famosa al mondo. Negli ultimi anni di attività sotto la superficie pescò anche il corallo, ed era il più bravo del team. Il famoso Pippo Cappellano, documentarista subacqueo, ne fece il protagonista del cortometraggio “Un uomo in più” dedicato al lavoro dei sub in tonnara.

Era proverbiale la sua ospitalità, disinteressata e splendida, sia che si trattasse di andare per mare, sia che fosse per un pranzo in compagnia: tutti lo ricordano con affetto e stima. Un uomo, una leggenda. Il suo nome resta nella storia delle Egadi assieme a quello di Mercurio, il più noto dei rais della Regina dei mari.

Mi piace ricordare il caro amico riportando una sintesi del capitolo che gli ho dedicato nel mio libro “Il sale e il sangue. Storie di uomini e tonni” (Magenes, Milano, 2007); l’intervista a Nitto l’ho fatta nel giugno 2001.

L’uomo in più
Il sommozzatore
“Sono stato uno fra i primi a fare dell’attività subacquea una vera professione: dal 1958 il mio lavoro si è svolto sott’acqua, prima pescatore, poi sub di tonnara, infine corallaro.

In tonnara ho iniziato a lavorare nel 1963, a Favignana e Formica, i proprietari erano i genovesi Parodi, prima di me nessuno aveva fatto il sub nelle tonnare; sono stato io a propormi ai proprietari e al rais: io sono un pescatore, e quando andavo ad assistere alla mattanza mi accorgevo che molte cose funzionavano male, i tonnaroti dalla barca potevano fare ben poco rispetto ad un subacqueo, i tonni fuggivano perché si aprivano squarci nelle reti che allora erano di sisal (1), oppure restavano ammagliati e si perdevano perché nessuno li recuperava, mi ricordo che una volta nella tonnara di Formica assummava l’ogghiata (2), e mi dicevo: là c’è un pesce morto in fondo, ma porca miseria, non sono soldi che si possono recuperare?

Allora sono andato da Vittorio Parodi, il fratello Bacci si dedicava solo allo stabilimento, e ascoltava, e gli ho detto tutto quello che potevo fare, controllare le reti, recuperare i pesci ammagliati, cucire gli strappi, cercare le ancore perdute, contare i tonni che entrano, insomma tutto quello che un sommozzatore può fare. Vittorio Parodi ne fu entusiasta, chiamò il rais di Favignana Mercurio, forse il più grande rais di tutti i tempi, e anche lui fu d’accordo; facemmo subito il contratto, e così ho iniziato la mia professione.

Nel contratto avevo una somma fissa: 200 mila lire al giorno, erano soldi! più una percentuale del 30 per cento sul valore dei pesci recuperati, e poi avevo un contratto a parte per il salpato, dove tagliavo le porte e le mezze porte, e in fondo il piombo e le rosase, così dalle barche potevano tirare senza problemi la rete e il piombo, allora non c’erano verricelli, si tirava tutto a mano. La “costa” non era possibile tagliarla, veniva tirata con gli argani a mano.

La mattina mi immergevo in una tonnara, e nel pomeriggio nell’altra. Certo, era anche un piccolo problema, perché le tonnare erano sì dello stesso padrone, ma avevano ciurma e rais diversi, e si invidiavano un poco, a Formica il rais era Laureato Figliomeni; la ciurma di ogni tonnara era composta da settanta tonnaroti, più gli avventizi, quattordici, che aiutavano nel calato e nel salpato e a volte nella mattanza, erano quelli che un giorno sarebbero diventati tonnaroti.

Nelle prime immersioni i rais avevano paura, perché non sapevano che reazione avrebbero avuto i tonni davanti ad un subacqueo, magari potevano rompere le reti e fuggire, c’era un poco di diffidenza, ma a poco a poco li ho convinti, gli ho fatto vedere che i pesci non si spaventavano quando passavo in mezzo a loro. Recuperavo i tonni che si ammagliavano, però quello che più hanno apprezzato è che finalmente potevo cucire tutti gli squarci che i tonni e la corrente provocavano nella parete di rete, che era tutta buchi; gli dicevo: rais, ma qui c’è da perdere tutti i tonni, questa rete non va bene.

Quando la tonnara era tutta calata, ogni giorno controllavo tutte le reti dell’isola, facevo ‘u giro, contavo i tonni arrivati nella notte, recuperavo i pesci ammagliati.

Quando i tonni dovevano passare da un vaso all’altro, e nonostante le “porte” fossero tutte abbassate non ne volevano sapere, oppure quando si doveva fare mattanza e i pesci non entravano nel corpu, ero io a farli “montare”. Se erano tutti della stessa taglia, o tutti grossi o tutti piccoli, non c’era bisogno dell’aiuto del sommozzatore; se invece erano pesci misti, grossi e piccoli, allora dovevo intervenire io, facevo calare dai tonnaroti la ‘ncerra (4) e con questa li spingevamo da un vaso all’altro, io mi mettevo dalla parte sopravento e tenevo la rete della ‘ncerra attaccata al lato della tonnara, e dall’alto i tonnaroti la trascinavano con la barca. Bisognava spingerli con una rete mobile perché i tonni piccoli sono più veloci di quelli grossi, e così accadeva che il gruppo dei piccoli montava, e quando arrivavano i grossi i primi erano già tornati indietro, e non si riusciva a stagghiarli (5) tutti. Se invece i tonni erano tutti grossi spesso bastava che mi mettessi accanto al capofila, quello che nuotava davanti a tutti, lento lento, mi ci mettevo al fianco e non lo facevo girare, lui voleva tornare indietro ma c’ero io e non poteva, e allora lo accompagnavo fino alla “porta” che immetteva nella camera a ponente, e tutti gli altri tonni ci venivano dietro, quando tutti passavano afferravo e tiravo una delle nape che i tonnaroti tenevano in mano, e quello era il segnale che i tonni erano entrati e si poteva chiudere la porta di rete. Facevo così per fare passare i tonni da un vaso all’altro, e anche per farli entrare nel corpu.

Dei tonni non ho mai avuto timore, nemmeno le prime volte che mi immergevo fra le reti, sapevo che non attaccavano l’uomo, però momenti di paura in tonnara ce ne sono stati. Soprattutto quando nelle reti arrivavano gli Squali bianchi (6), quelli sì che sono pericolosi, io ne ho recuperati ben sei nel mio lavoro, enormi, pescavano da 2.400 a 2.600 chili l’uno; la maggior parte li ho trovati ammagliati, già morti, ma due li ho incontrati vivi, e quell’esperienza non la dimenticherò mai.

Il primo l’ho visto nel 1966, un giorno che stavo controllando le reti a Formica; mi ero immerso tranquillo, e ad un tratto l’ho visto, lontano, al limite della visibilità, in un primo tempo mi sembrava uno Squalo elefante (7), ne avevo già visti altri e sono innocui, senza denti, ero a circa 15 metri di profondità, l’acqua era chiara, nuotava tranquillo, e sono convinto che non si è accorto di me. Fra le reti non c’erano tonni, non c’era niente, allora non me ne resi conto ma poi con l’esperienza ho capito che quando in tonnara ci sono pesci come questi niente sta più al suo posto: nella “testata di levante” c’è sempre un badduneddo (8) di sarde, un gruppetto di bastarduna (9), quella volta invece c’era il deserto; pescispada ce n’erano sempre uno o due, anche tre, ma quando c’erano questi squali niente, non c’era niente. Quel giorno in tonnara c’era solo lui.

Ho capito che si trattava di uno Squalo bianco quando gli ho visto bene il muso, i denti enormi, in un attimo ho pensato a cosa fare: salire immediatamente in superficie e non avere nessun riparo fino a quando la barca non mi recupera? No, mi sono lasciato cadere sul fondo, a circa 28 metri, e sono uscito da sotto le reti, lo Squalo non se n’è accorto, poi sono riemerso e sono salito in barca fuori dalla tonnara. L’indomani lo abbiamo trovato morto, ammagliato nella rete, e l’ho recuperato, era lungo 6 metri e mezzo.

Quella volta provai molta tensione, ma non posso dire di avere avuto paura. Davvero terrore lo ho provato altre due volte, e non me ne vergogno. Si tratta però di paure diverse, una provoca la reazione immediata e allora con la forza della disperazione cerchi di salvarti, l’altra invece è quando resti senza riuscire a parlare, non sai decidere, rimani incapace di reagire. A me è capitato. Ora ci rido sopra, ma allora sono rimasto di pietra.

Nel 1980 nella tonnara di Favignana c’erano due Squali bianchi, maschio e femmina, erano entrati nella notte ed erano restati ammagliati: il maschio era nella vucca a ‘nnassa, la femmina nella porta della bastardella; prima recupero quello della nassa, e la barca se lo porta a terra a rimorchio perché pesa oltre duemila chili ed è impossibile metterlo a bordo! Io nel frattempo avevo visto l’altro, pure ammagliato, ma per recuperarlo ho aspettato il ritorno della muciara; nel frattempo sono passate più di due ore. E’ sicuramente morto, pensavo; nel tentativo di liberarsi aveva rotto tutte le reti, la suttana (10) l’aveva fatta a pezzi, lo squalo aveva la testa libera, rivolta a maestro, e nella coda aveva una palla di rete, un imbroglio di oltre un metro di diametro; per non fare spostare la barca fuori dalla tonnara ho deciso di liberarlo dalla parte interna, avrei lavorato di più ma così evitavo ai tonnaroti di mettersi nuovamente ai remi, lo feci per loro, e non sapendolo mi salvai la vita!

Cominciai a liberare la coda del pesce, ma non era facile, la rete di sisal era strettissima, lo squalo aveva scatenato tutta la sua potenza e si era imbrogliato in maniera incredibile; io facevo leva con la testa e il ginocchio sul corpo del pesce per liberare la rete, e intanto tagliavo le maglie col coltello, avevo quasi finito, rimanevano poche maglie, quando mi sento trascinare via, capisco che lo squalo è ancora vivo, reagisco d’istinto, dò un colpo di pinne per allontanarmi, il pesce si raddrizza facendo perno sulla coda ancora prigioniera, spalanca la bocca, giuro che gli ho visto la gola, la lingua, lo so che la lingua non ce l’hanno ma io gli ho visto qualcosa che gli somiglia, nera, i denti, si gira, cerca di afferrami, dalla barca capiscono che sta succedendo qualcosa perché muovendosi lo squalo si tira a fondo le boe che tengono in superficie la rete, la bocca arriva a pochi centimetri da me, gli metto una mano sul muso e mi spingo indietro, non so com’è che non mi afferra il braccio, poi per un attimo la rete lo trattiene, infine si raddrizza nuovamente e si gira ancora contro di me, ma stavolta ero riuscito ad allontanarmi di un paio di metri, sono momenti che non capisci più niente, non guardo nemmeno se è ancora ammagliato per la coda e fuggo in superficie, i 30 metri d’acqua li ho fatto in un batter d’occhio, e sono salito in barca da solo, senza levarmi le bombole né la zavorra, e pensare che normalmente prima di salire passo bombole e zavorra ai tonnaroti, e magari mi faccio dare una mano per saltare il bordo della muciara, che è abbastanza alto … Posso dire di essergli uscito due volte dalla bocca.

Questa è quella paura fortissima, che però ti fa reagire. Ma c’è l’altra paura, che ti lascia come inebetito.

A Favignana il rais Giacomo Rallo aveva un accordo con l’equipaggio della varca a gguatari (11): quando il rais arrivava in tonnara se c’erano tonni gli uomini dovevano stare in piedi, così senza perdere tempo il rais se ne andava con la sua muciara a porta chiara per fare passare i pesci nella cammara, invece se non c’era niente avìano a stare tutti curcati (12); quel giorno sulla muciara c’era stato da ridere, il capomuciara diceva la preghiera ma i muciaroti tutti d’accordo se ne stavano in silenzio col risolino in faccia, non rispondevano alla preghiera, e allora il capomuciara Salvatore Spataro, che ora è il rais di Bonagia, diceva Vegna picciotti, facitimi dire ‘sta preghiera … (13), insomma, arriviamo in tonnara e troviamo l’equipaggio della barca di guardia tutto in piedi, sopra i banchi, erano sette, erano tutti supra i vanchi, addritta. Il rais Rallo è sorpreso, Mih, tunni assai appero a ‘bbirere, ci devono essere due trecento tonni come minimo, tutti in piedi messi! Entriamo in tonnara, Com’è Sarino, assai ci ‘nn’è? No, a mare un ci vole talìare nuddo (14), risponde Sarino che è il capobarca, “Che vuol dire?” chiede il rais, “Un vole talìare nuddo, c’è un uomo chi nni passa di sutta ‘a varca risponde Sarino. Io mi stavo mettendo la giacca della muta, e arrimoddai (15), un uomo che passa sotto la barca? Ma che uomo è, Sarino, che stai dicendo? Ah, un vole talìare nuddo, rais, si scantano, un uomo c’a cappotta ‘ncerata e ‘a magnusa (16).

A sentire una cosa di questa mi si gelò il sangue, mi cominciai a guardare intorno, il rais mi talìava con quegli occhiceddi nichi nichi (17). Ma cos’è, Nitto? mi domandava, Eh rais, cos’è, che possiamo dubitare di quello che dice Sarino? e poi sono tutti padri di famiglia, gente che si vuole guadagnare il pane, non è che possono dire frottole. Cos’è? Uno spirito, io non ci credo a queste cose, ma davanti a questo fatto! Spirito, rais, qualcuno che morse ccà e ora gira, che so, chi c’ha ddire, io mi scanto a ‘gghire ‘n funno, che saccio che spirito è, se è buono, s’è tinto, se aspetta a ‘mmia, c’ha fare? Cento ragionamenti in un secondo, ho fatto, un momento bruttissimo. Avevo paura. Però poi ho cominciato a pensare che qui hanno tutti stima di me, si aspettano che li aiuti, per loro ero chissà cosa, che devono dire, che mi scanto (18)? Ma che devo fare? mi dicevo, e pensavo alla brutta figura, poi presi una decisione, gli dissi rais, o spirito maligno, o spirito benigno, può darsi che chista è l’ultima immersione che faccio, vado a controllare, e come riesce si conta, tanto ho un’assicurazione di 500 milioni sulla vita, se muoio la mia famiglia può campare. Basta, mi sono messo la muta e le bombole, ma i sudori mi scendevano sulla fronte, il cuore faceva mille battiti, mi tuffo nella zona di levante e comincio a fare il giro. Nella parte sottovento non vedo niente di strano, nuoto col cuore in gola, mi tengo vicino alla rete come se questa potesse proteggermi, passo la “testa di levante”, niente, inizio a scorrere il sopravento, tutto è a posto, la sarde e i bastarduna sono tranquilli, e finalmente vio ‘sto cristiano (19), al limite della visibilità appare l’uomo che aveva terrorizzato i tonnaroti fino a farli mettere in piedi sulla barca, è una enorme Manta (20), con le corna che attraverso lo specchio sembravano un cappellaccio, era questa la magnusa che avevano visto i pescatori; con la corrente salendo da levante a ponente passava nuotando rasente al fondo e i pescatori non la vedevano, quando invece tornava aveva la corrente contro e allora si metteva dritta, agitando le ali, passava a mezz’acqua e i tonnaroti che guardavano con lo specchio avevano scambiato la punta delle ali con le mani, e la testa biforcuta per il cappello di cerata. Lo spirito era una povera manta che s’era perduta dietro ai tonni ed era finita fra le reti, pesava 400 chili, quando si ammagliò e i pescatori la tirarono a galla era ancora viva, e dibattendosi con le ali enormi bagnò tutti. L’avventura finì con una grande risata, però quanta paura prima …

Altri momenti di tensione li ho passati con i pescispada (21): tante volte è successo che mi puntavano con la loro lunga spada, ma questo succedeva quando nelle vicinanze ce n’era un altro ammagliato, e quasi sempre si trattava della femmina; allora il compagno si faceva sotto, mi minacciava con la sua arma, e un paio di volte ho dovuto lasciare il pesce ammagliato, l’altro non mi permetteva di avvicinarmi, poi magari tornavo a recuperarlo dall’esterno delle reti. Diverse volte mi sono levato le bombole e me le sono messe davanti, per parare un eventuale attacco! Però avevo constatato che le sue prede il pescespada le attacca sempre dal basso in alto, mai da sopra in basso, e allora quando lo incrociavo mi lasciavo cadere verso il fondo, e gli passavo di sotto, lui invece se ne andava tranquillo per la sua strada.

 

Certo, in tonnara capitano anche avventure buffe. Il primo Squalo bianco che ho recuperato è stato a Formica, lo abbiamo portato a terra, e come per i tonni mi spettava il 30 per cento del suo valore. Ma il valore di questo pesce sta tutto nei denti, che si possono vendere o regalare, e dunque me ne toccava un terzo, e invece di quei denti non me ne hanno dato nessuno, se li sono divisi tutti fra di loro e a me niente. Vado dal proprietario, che mi dice “Ma che ti posso fare, Nitto, li hanno presi tutti loro, non ne ho nemmeno io, hai ragione ma che ci vuoi fare?”.

Manco a farlo apposta, dopo due giorni a Formica trovo un altro Squalo bianco enorme, morto, posato sopra la rete, non era nemmeno imbrogliato, salgo e dico rais, com’è impirugghiato (22) se ne va la giornata, non lo so nemmeno se ce la faccio a liberarlo, comunque tento, ci lavoro un poco e vediamo, aspettate e vediamo. Ritorno in fondo, prendo il mio coltellaccio seghettato e mi trasformo in dentista, taglio la gengiva, e dopo un bel po’ riesco a levargli tutta la dentatura. Faccio un piccolo tabernacolo sul fondo con i vecchi tufi di tonnara, e ci nascondo i denti, ora stativi ‘ddoco (23). I tonnaroti non si accorgono di niente, e con il pesce a rimorchio se ne vanno a Favignana; era mezzogiorno quando sono arrivati, e la ciurma era tutta a mangiare. Il pesce viene lasciato in acqua sotto lo stabilimento Florio; il sottorais Jachino Ernandes, che poi diventerà rais, dice “la guardia la faccio io, andatevene tutti a mangiare”; c’era un tonnaroto che dall’angolo dello stabilimento ogni tanto affacciava, e Jachino gli gridava Unni vai, arràssati, levati di ‘ddoco (24), perché voleva andare a levare i denti allo squalo. All’una e mezza, quando tornarono i tonnaroti, tirarono in secco lo squalo, e trovarono una bocca completamente sdentata. Jachino Ernandes capì tutto, e si mise a correre verso di me, ma io scappai mentre lui minacciava ‘un ti scantare,’unn’ha bbenere ccà … (25) no, non vengo gli rispondevo, e lui: perciò, io la guardia l’haio fatta a un pesce senza renti … e che volete da me, se è una razza particolare, senza denti, che ci posso fare! Io certo denti non ne ho, avete visto che non li ho portati in barca, forse era uno squalo che si nutre di plancton …

Comunque, quando poi ho recuperato i denti ne ho dato sette alla muciara del rais, quattro al rais, sette alla varca a ‘gguatari, sette alla vinturera (26), e quelli che restarono, una ventina, me li presi io.

Di pesci strani in tonnara ne ho trovato diversi: oltre alla manta, tanti Trigoni, bugghi li chiamano i pescatori, e poi Verdesche (27), Squali volpe (28), diversi Squali elefante, ma uno solo di tutti questi era ancora vivo, gli altri li trovavo già ammagliati e morti la mattina, appena entravano si ammagliavano; i delfini entravano, tante volte, le prime immersioni si mantenevano lontani, poi prendevano confidenza e si avvicinavano al sub, giravano tranquilli fra le reti ma appena se ne impigliava uno gli altri sparivano, da dove non lo so, forse saltavano dal summo. Una volta ho preso con le mani una scibbiola (29) di 22 chili, e poi c’erano tante tartarughe (30) e pesciluna (31), ma quando era possibile li smagliavo e li lasciavo liberi.

 

Note

1)     Fibra vegetale ricavata da una pianta che vive soprattutto in Africa, simile allo sparto ma più resistente di questo.

2)     I grossi pesci rimasti morti sul fondo decomponendosi liberano una sostanza grassa e oleosa più leggera dell’acqua, che viene a galla.

3)     Si ammagliavano numerosi come le boghe nelle reti di nylon.

4)     Una rete mobile larga quanto il vaso e alta fino al fondo, manovrata dai tonnaroti in superficie e dal sub sott’acqua, che serve per spingere i tonni nella direzione voluta.

5)     Bloccarli.

6)     Carcharodon carcharias, è ritenuto il più pericoloso degli squali, vorace e in grado di attaccare uomini e pesci. Enorme, spesso supera i 6 metri di lunghezza e i 2.000 chili di peso. La sua presenza nelle tonnare è stata sempre molto temuta: “… nel tempo della pescagione de’ Tonni entrano tal volta nelle reti, e non solo fanno strage de’ Tonni, e Pesci, ma fracassan pure le reti …” (A. Mongitore, Della Sicilia Ricercata). In Sicilia, dove ne sono stati catturati diversi esemplari soprattutto nelle tonnare di Favignana e Bonagia, viene chiamato ‘mbistinu; un altro pescecane in grado di provocare grossi danni fra le reti è  lo squalo Mako (Isurus oxyrhinchus), chiamato dai siciliani pisci tunnu per la sua abitudine di inseguire i branchi di tonni e poi terrorizzarli al momento dell’attacco (e anche per la presenza, sul troncone caudale, di un “calcagnolo” – carenatura – simile a quella dei tonni).

7)     Cethorinus maximus, innocuo, si ciba di plancton.

8)     Branco di sarde disposto a palla.

9)     Menole, Spicara maena.

10)  Rete posta fra la porta cannapa e il corpu, immette nella camera della morte.

11)  Rimaneva in tonnara anche quando le altre barche tornavano a terra, per controllare l’arrivo dei tonni fra le reti.

12)  Dovevano stare tutti coricati.

13)  Avanti ragazzi …

14)  A mare non ci vuole guardare nessuno.

15)  Mi sono sentito sciogliere.

16)  Cappello impermeabile a falde larghe, usato dai pescatori per proteggersi dagli spruzzi.

17)  Occhietti piccoli piccoli.

18)  Ho paura.

19)  Vedo questo uomo.

20)  Manta mediterranea, Mobula mobular, identica alla sorella tropicale, rara ma presente in tutti i mari meridionali. In tonnara la sua presenza è stata registrata negli anni ‘70 a Favignana, e nella stagione 2000 a Bonagia, dove per la prima volta in tutto il Mediterraneo è stata filmata viva sott’acqua (Peppe Maurici e Ninni Ravazza, La tonnara nascosta, video, primo premio nella sezione Mediterraneo del Concorso “Un video per un Museo” 2001 bandito dalla H.D.S. Italia).

21)  Xiphias gladius, dopo i tonni è il pesce pregiato più frequente in tonnara; la pesca indiscriminata condotta per decenni con le reti vagantive (“spadare”) ed i palangari ne ha considerevolmente ridotto il numero, ma fino agli anni ’60 se ne catturavano anche 90 – 100 esemplari a stagione (si pensi che le deboli reti di fibra sovente non trattenevano i pesci ammagliati, e non c’erano ancora i sommozzatori al servizio della tonnara).

22)  Imbrogliato fra le reti.

23)  Statevi lì.

24)  Dove vai, allontanati da lì.

25)  Non ti preoccupare, non devi forse tornare qui …

26)  A Favignana viene chiamata così una delle barche minori, corrispondente all’ordinaro delle altre tonnare.

27)  Prionace glauca, squalo d’alto mare.

28)  Alopias vulpinus, chiamato pisci bannera (bandiera) per la lunghissima coda, non è un predatore e dunque i tonnaroti non ne hanno particolare paura. Se ne catturano ancora almeno 4 – 5 esemplari a stagione nelle tonnare in attività.

29)  Leccia, Lichia amia.

30)  Soprattutto Caretta caretta di piccole e medie dimensioni.

31)  Mola mola, innocuo selacio che finisce a centinaia fra le reti delle tonnare.

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Un pensiero riguardo “In ricordo di Nitto, l’Uomo in più

  • 28 novembre 2018 in 19:39
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    Che racconti spettacolari….Ninni grazie di esistere

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