Dentice, sparide selvaggio – fotogalleria

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dentice3Alla fine degli anni ottanta, quando da poco avevo abbandonato la pesca in apnea per passare definitivamente alla fotografia subacquea (trascinandomi dietro una sfrenata passione per i pesci, che avevo conosciuto pescando e che sarebbero diventati i miei soggetti preferiti), rimasi letteralmente folgorato da un’immagine apparsa a doppia pagina su una rivista di settore. La foto ritraeva un bellissimo dentice colto di sorpresa all’interno di una grotta, in Sardegna, nelle acque antistanti il promontorio di Capo Caccia (Alghero).

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Il nome di Stefano Navarrini, autore della fotografia, mi rimase impresso in mente anche per altre foto di pesci mediterranei, pubblicate regolarmente su Mondo Sommerso.

Da quel giorno pensai spesso al dentice. Non sapendo dove trovarlo sui fondali che frequentavo, riflettevo su una vacanza in altri lidi. Non riuscii a resistere per molto e cedetti alla tentazione di imbarcarmi per la Sardegna, nella speranza di trovare gli sparidi. Era il giugno del 1989. A Capo Caccia i clienti che chiedevano di andare in acqua di notte erano ben pochi. La prima notturna che riuscii a strappare al titolare del diving fu indimenticabile, per via della gran quantità di pesce osservata in non più di 20 metri di profondità. Spigole, saraghi, occhiate erano ovunque e di ogni pezzatura; i pesci mi mandarono in agitazione come mai mi era accaduto, e non sapevo cosa fotografare. Ma quando meno me l’aspettavo, distratto da mille cose e intento a scattare a destra e a manca, vidi la mia guida farmi segni insistenti con la lampada, nel tentativo di comunicarmi qualcosa di importante. Nell’avvicinarmi mi accorsi che un bel dentice era lì, fermo sul fondo, con la sua straordinaria livrea, disposto a farsi fotografare.

 

Ma la concessione non durò molto ed ebbi giusto il tempo di scattare alcune volte prima di vedere il grosso sparide alzarsi innervosito e scappare, dileguandosi nel nulla. Finalmente ero riuscito a fotografare un dentice da vicino, con il mio 20 mm Nikkor montato su una Nikonos IV con due flash dell’epoca, prodotti dal CFS di Genova: il Cycnus e un piccolo servoflash detto “In”. A quel punto si trattava di aspettare per vedere il risultato. Trovai un laboratorio ad Alghero che mi sviluppò le dia in poco tempo e, con ansia soffocante, trovai un lentino per analizzare le mie prime immagini del Dentex dentex, il più grande e selvaggio predatore tra gli sparidi del Mediterraneo. Non dimenticherò mai quei momenti sott’acqua in Sardegna e la magia della notte ai piedi del promontorio di Capo Caccia, quando dalla barca, durante la vestizione, il faro illuminava l’orizzonte col suo fascio di luce intermittente, creando quell’atmosfera che da sempre è fonte d’ispirazione per poeti e scrittori. Da allora ho fotografato il dentice di notte diverse altre volte, soprattutto sui fondali calabresi, dove imparai presto a scovarli anche se a profondità più impegnative. E li ho osservati più volte di giorno, in gruppi numerosi, senza mai riuscire a scattare una foto decente, ma solo l’immagine ricordo del banco evanescente in luce ambiente. Ma l’amore sviscerato per questo animale selvaggio è rimasto immutato nel tempo e scrivere di lui, oggi, è per me doveroso, affinché un contributo alla sua conoscenza possa servire a tutelarlo in futuro.

 

Il dentice, questo sconosciuto, ben presente nei libri di cucina o nei trattati di pesca sportiva, è sicuramente uno dei predatori più attivi nel Mediterraneo e la sua presenza è segnalata ovunque ci siano scogliere sommerse o secche in mezzo al mare e in tutti quei luoghi che, sebbene vicini alla costa, sprofondano nel blu in maniera repentina. Spiccatamente aggressivo, ha carattere capriccioso che lo porta spesso a comportamenti fuori dalla norma ed è abbastanza diffidente nei confronti dell’uomo immerso, nonostante la sua curiosità lo porti ad avvicinarsi a subacquei apneisti in grado di pescare all’aspetto a certe profondità. Ama molto le zone tranquille e risente notevolmente della frenetica attività estiva di superficie. Abituato a vivere a contatto col fondo, non di rado si solleva per portarsi in caccia a mezz’acqua. Non risente gran che delle variazioni di temperatura dell’acqua, ma è molto sensibile agli orari ed alle fasi lunari.

Più di ogni altro predatore, il dentice sfrutta le rocce del fondo e, in particolare, le orlate rocciose, per nascondere la sua presenza alle possibili prede. Come accade, ad esempio, al confine meridionale dello Stretto di Messina, ai piedi del promontorio di Capo dall’Armi, dove un ciglio imponente porta i fondali a precipitare dai 35/40 metri fino a circa 70/80 non lontano da riva, con pareti di roccia verticale fessurate e affacciate nel blu dei fondali fangosi. Le fenditure ospitano sovente grossi esemplari durante la notte, praticamente fermi e abbastanza facili da avvicinare. Ed è qui che ho scattato molte delle mie immagini più belle, incontrando dentici di dimensioni variabili tra i tre e i dieci chilogrammi circa e avvicinandomi a loro in modo deciso, scattando a pochi centimetri dall’animale. Ciò che rende affascinante questo pesce è certamente, in larga parte, la splendida livrea iridescente. Il colore di fondo è argenteo, con tonalità che sfumano dall’azzurro del dorso al rosato dei fianchi, con sfumature intermedie e puntinatura blu. Anche le pinne presentano una colorazione rosea che sfuma nel giallo nelle ventrali e nell’anale. Propria dei dentici, specie dei più giovani, è poi una particolare colorazione, caratterizzata da striature verticali più scure, ottenute grazie alla presenza di cromatofori sulla superficie del corpo. La livrea giovanibile è maggiormente evidente durante la notte, specie quando il dentice è colto di sorpresa in atteggiamento di riposo. Attore protagonista dello spettacolo del mare nostrum, è uno dei pesci più ricercati dai pescatori italiani anche a ragione delle sue carni squisite e apprezzate sin dall’antichità. Delle oltre cento specie di sparidi esistenti, il dentice è di certo il più aggressivo e la sua dentatura ne è prova tangibile.

 

Conservo ancora la dentatura dei pochi dentici che sono riuscito a catturare ai tempi in cui pescavo in apnea: è formidabile, e i denti aguzzi confermano le abitudini alimentari del grande predatore. E’ intuitivo comprendere che il pesce prende il nome dalla peculiare presenza, su entrambe le mascelle, di quattro denti caniniformi, disposti in maniera tale da risultare ben visibili anche a bocca socchiusa e che conferiscono al muso un aspetto caratteristico. La sua dieta alimentare è espressamente carnivora: aguglie, occhiate, boghe, castagnole e triglie; ma anche cefalopodi come seppie, piccoli polpi, calamari e totani. Il corpo ovoidale, alto e lateralmente compresso, è dotato di una forte muscolatura e una grande pinna caudale. La testa ha un profilo armonicamente arrotondato ma è al tempo stesso imponente, anche per via della mandibola appena sporgente; gli occhi sono piccoli (i più piccoli tra il genere Dentex) e vicini, posti molto in alto sul capo per consentire un’ottima vista bioculare. Tale posizione conferisce al “re degli sparidi” uno sguardo sicuramente cattivo. La sua notevole stazza, potendo raggiungere e superare i 15 kg di peso corporeo e circa un metro di lunghezza, ne fa uno dei più interessanti predoni del mare e nobile preda tra i pescatori.

Il dentice però non è un forte nuotatore, anche se sopperisce a tale lacuna essendo dotato di uno scatto bruciante, un strumento di offesa molto valido; è uno spettacolo poterlo osservare durante l’azione di caccia, quando, come una saetta, si avventa ed aggredisce le sue vittime.

In inverno il dentice compie una specie di “migrazione”. In realtà si tratta di una fuga dalle acque degli strati superficiali del mare, ormai raffreddati dal clima più rigido, verso la profondità, fino a raggiungere 60/80 metri o anche 100, alla ricerca di acque lievemente più calde dove la temperatura si mantiene costante, anche a discapito del regime alimentare; in profondità il cibo è infatti più scarso ed è proprio in questo periodo di “magra” che il dentice si nutre principalmente di cefalopodi. In primavera, con il riscaldamento delle acque superficiali, il dentice inizia pigramente la sua risalita verso quote comprese tra i 25 e i 40 metri, guidato anche dall’istinto riproduttivo; in questo periodo si nutre prevalentemente di notte e diventa estremamente territoriale.

Le osservazioni in natura mi hanno regalato più volte l’incontro primaverile con folti gruppi di questi sparidi. Giugno è stato un mese spesso ideale per fermarsi sul fondo, bombole in spalla, a contemplare il girovagare dei pesci a modeste profondità. Gli incontri più belli vissuti in Mediterraneo mi riportano qualche miglio al largo di Bari, su un relitto dell’ultima guerra, dove decine di individui di media taglia si aggiravano sovente tra le strutture della nave a circa 40-45 metri di profondità; o sulle secche della Riserva dello Zingaro, nei pressi di San Vito Lo Capo, dove fermo su uno scoglio a 30 metri di profondità, ho “rischiato” persino di scattare foto ai dentici in pieno giorno, nel loro frenetico andirivieni di gruppo. E che dire del muro di dentici talvolta presenti in autunno sui fondali di Scilla, raramente incontrati insieme a numerose cernie rosse (o dotti) a formare una scena che forse solo un dipinto potrebbe rendere, se ben fatto.

Altri banchi stupendi li ho visti su secche maestose al largo dell’Isola di Linosa e nel canale di Scicilia, sui banchi Skerki, Talbot e Avventura. L’amore per questi pesci continua a portarmi in giro per il Mediterraneo e ogni volta, mentre sono sott’acqua, alzo la testa e scruto l’orizzonte visibile. Spesso intravedo un dentice solitario, che si aggira sul fondo in cerca di cibo, e assisto a scene inconsuete ma da una certa distanza. Mi godo la cosa finchè dura, fino a quando il predatore selvaggio non realizza che qualcosa di strano si muove nei dintorni. E con fare discreto si allontana, mantenendo le distanze o dileguandosi nel blu. E dal blu continuo sempre ad aspettarmi sorprese, ad ogni immersione.

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