Il Mediterraneo e gli Ebrei

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ebreiQuando la più famosa designer francese, Elisabeth Garouste, presentò qualche anno fa il suo servizio da tavola Trapani, furono in molti a chiedersi che cosa avesse a che fare una caotica città del Sud, nota principalmente per fatti di mafia, con raffinate porcellane e posate delle prestigiose manifatture Daum. In realtà, l’erede di Ebrei russi emigrati a Parigi, non aveva fatto altro che riportare in auge un passato tanto remoto da sembrare leggendario. Narra infatti la leggenda che dopo aver distrutto il Tempio di Gerusalemme, il malvagio Tito riempì tre navi di uomini, donne e bambini e le abbandonò al mare senza un capitano.

Il buon Dio mandò una tempesta che le fece naufragare una in Spagna, una a Genova e l’altra in Sicilia. Comincia così per il popolo ebraico la storia del suo rapporto col Mediterraneo. Se per Fernand Braudel il Mediterraneo era una vasta pianura d’acqua, gli Ebrei ne fecero un unico grande mercato, di cui conobbero e popolarono ogni scoglio, a tal punto che quando i Re di Spagna ne decretarono l’espulsione, il Parlamento siciliano fece presente come molte isole intorno alla Sicilia sarebbero rimaste disabitate e dunque indifese. Le comunità che si affacciavano sulle sponde del Mediterraneo erano infatti numerose come i suoi granelli di sabbia e collegate tra loro da una trama fittissima di traffici. I documenti scoperti negli archivi della sinagoga del Vecchio Cairo ce lo dimostrano : mercanti ebrei di Trapani vendevano lo zucchero e la seta siciliana ad Alessandria, da dove importavano cotone, spezie e schiavi. I loro figli studiavano in Palestina o in Nord Africa ed essi corrispondevano con i mercanti della lontana India. Un antico manoscritto ebraico spagnolo termina con la frase : finito di copiare in navigazione al largo della Sicilia nell’anno… e il contratto di nolo della nave che porta per sempre in esilio gli Ebrei di Trapani enumera meticolosamente le regole per osservare lo Shabat a bordo.

In quei tempi gli Ebrei ebbero col mare tanta confidenza, che un proverbio asseriva baldanzosamente in Ladino, la loro colorita lingua franca a base di ebraico e castigliano, « Dame el mazal e hechame a la mar », cioè : dammi una buona stella e buttami in mare. Stranamente, quando si ricordano i popoli che solcarono e dominarono il Mediterraneo, si parla dei Fenici, dei Greci, dei Romani, dei Normanni e delle Repubbliche marinare, senza che a nessuno vengano mai in mente gli Ebrei. Eppure, prima ancora di Marco Polo, Beniamino da Tudela partì per un lungo viaggio d’esplorazione intorno al mondo. Il suo diario ci racconta ancora oggi delle città da lui visitate e delle meraviglie che gli occorse di vedere. Di Trapani Beniamino scrisse « in questa città si trova il corallo, o al-murgian …». Se l’esilio mandò il popolo eletto tra le nazioni come il Popolo del libro, in Sicilia esso divenne anche un popolo del mare. A Trapani gli Ebrei gestivano collegamenti giornalieri con la Tunisia, partecipavano alla lavorazione del tonno, perfetto succedaneo del maiale, investivano in imprese di pirateria e, soprattutto, lavoravano il corallo. Forse erano anche pescatori e salinari, perché quando dopo l’espulsione si stabilirono a Salonicco si occuparono delle saline e la loro sinagoga finì per essere conosciuta come El Call de los Pescadores. Call, parola ebraica per « comunità », è tutt’oggi il nome dell’antico quartiere ebraico di Sciacca : la Cadda.

Come è corta la nostra memoria. E come siamo ingrati talvolta verso chi ci ha preceduto. Prendiamo, ad esempio, le guide turististiche sulla Sicilia. Si compiacciono di snocciolare come in una noiosa litania i nomi di tutti i popoli che hanno via via invaso e dominato l’isola a prezzo di saccheggi e devastazioni, sempre dimenticando gli unici che la posero al centro di una vera e propria civiltà mediterranea. Esiste persino un’enciclopedia in dodici volumi dedicata alla storia della Sicilia, dall’età della pietra ai nostri giorni, in cui invano si troverà il nome di coloro i quali vi importarono la tessitura della seta e la coltura della palma, dell’henné e del sommacco, che disegnarono carte nautiche e inventarono strumenti astronomici, che eseguirono la prima prospezione mineraria e tradussero dall’arabo quei testi di medicina che veicolarono in Europa il concetto di vaccino.

Per fortuna di questo oblio si è sovvenuto a Parigi, in occasione della prima Giornata mondiale del Patrimonio ebraico, dove un rappresentante del governo siciliano ha annunciato che la regione « intende proteggere e custodire per le generazioni future un patrimonio unico nel suo genere, in un museo che non sarà solo un memoriale, ma anche una casa accogliente per tutti gli Ebrei del mondo ».

In Sicilia infatti, al centro del Mediterraneo, gli Ebrei furono liberi, lontani dai ghetti, invenzione dell’età moderna, e più integrati nella società circostante. Se la loro sorte in esilio fu quasi sempre infelice, come disse uno storico, in Sicilia essi furono meno infelici che altrove. Ecco, riassunta in poche righe una lunga storia, quella degli Ebrei e del Mediterraneo. E forse ora si comprenderà meglio perché un servizio da tavola disegnato a Parigi da un’ebrea russa porta il nome di una città siciliana.

Nicolo’ Bucaria

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