Sott’acqua con il pesce San Pietro

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Non credo che dimenticherò facilmente il giorno in cui vidi sott’acqua il mio primo pesce San Pietro. Era di notte e mi trovavo a pochi metri di profondità, durante una sosta di decompressione per una permanenza discreta sui fondali subito profondi del lido della mia città, Reggio Calabria.

Da appassionato di immersioni notturne quale sono, mi immergo sempre in ambienti freddi e bui alla ricerca di una fauna che davvero in pochi hanno il piacere di osservare dal vivo.

Mi attirava tentare di fotografare tutta una serie di animali notturni su fondali di sabbia misti a detrito, allora con la mia prima reflex (un’Olympus OM2 con ottica 90 mm macro Tamron) scafandrata in custodia Nimar (ricordo ancora le acrobazie che facevo, nonostante il magnificatore montato dietro al mirino, per inquadrare nel modo migliore i soggetti che più mi attiravano e che mai si fermavano… ).

La vita nel mare mi affascina da sempre e a quei tempi, nella seconda metà degli anni ottanta, il mio parco attrezzature era misero e composto, oltre che da quanto sopra descritto, da una Nikonos IV con 35 mm e tubi di prolunga per la macro, ai quali si aggiunse presto il favoloso complesso macro della Nikon e due ottiche come il 28 e il magico 20 mm (quest’ultima in uso ancora oggi).

Quella notte, quando incontrai il San Pietro a soli 3 o 4 metri di profondità, avevo il 90 mm macro. Quando vidi quello strano pesce rimasi letteralmente stregato dalle sue forme straordinarie e provai a scattare qualche immagine con ciò di cui disponevo. Cercai di sfruttare l’attrezzatura nel modo migliore, realizzando un primo piano carino del pesce, di profilo, che ancora conservo. Ma per il resto non ottenni grandi foto; iniziai però il mio rapporto, che ancora oggi va avanti, con uno dei miei soggetti preferiti, un pesce al quale ho dedicato gran parte della mia carriera di fotografo subacqueo naturalista, specializzato e appassionato di pesci, in particolare mediterranei (quelli meno fotografati e meno conosciuti).

Oggi nel mio archivio sono conservati circa mille scatti di quella creatura unica qual è lo Zeus faber, ma sono più del doppio i flash che lo hanno illuminato sott’acqua; un pesce difficile non tanto da avvicinare, quanto da riprendere a dovere per due fondamentali motivi: la livrea chiara e la posizione che assume sovente nei confronti del subacqueo, voltandogli regolarmente le spalle. Senza dimenticare che non è facile individuarlo nel suo ambiente e che sono pochissimi i posti dove lo si può incontrare con una certa frequenza, oltretutto immergendosi nel periodo più freddo dell’anno. La passione per i pesci mi ha comunque portato a superare tutti questi ostacoli e anche la fortuna di vivere presso una delle due sponde dello Stretto di Messina ha agevolato questo lavoro, che ho portato avanti per lunghi anni, senza mai stancarmi.

Oggi il pesce San Pietro è diventato un caro amico e nuotargli accanto è un’emozione che ogni volta si rinnova. Ogni anno aspetto dicembre o al massimo i primi di gennaio per cominciare a sbirciare tra le ramificazioni di Paramuricea clavata dei fondali di Scilla, località che segna il confine nord dello stretto sul Tirreno. Le gorgonie di Scilla ricoprono grandi agglomerati di roccia, tra i 60 e i 30 metri di profondità, e rappresentano un ambiente perfetto per questi pesci, creando un vero e proprio bosco sommerso; con l’abbassarsi della temperatura dell’acqua e l’approssimarsi dei 14° C, gli zeidi risalgono dalle grandi profondità e si avvicinano alla costa.

Il loro nuoto è lento e per scovarli punto lo sguardo in ogni angolo del fondale con molta attenzione, per cercare di vincere il loro straordinario mimetismo. Una volta individuato, mi avvicino al pesce con calma, cercando di capire se il soggetto è disponibile e tranquillo oppure nervoso e pronto alla fuga. Vi sono infatti individui che si concedono per periodi abbastanza lunghi e individui che invece non ne vogliono sapere e, nonostante la non particolare predilezione per il nuoto, riescono comunque a seminare il subacqueo, un po’ per via della loro struttura corporea (hanno il corpo alto e molto compresso sui fianchi, tanto da risultare quasi invisibili se osservati frontalmente) e un po’ per via delle forti correnti che lambiscono questi fondali, grande ostacolo all’idrodinamicità del subacqueo e invece ininfluenti per un pesce così sottile in sezione. Quando il soggetto è disponibile ho la possibilità di riprenderlo con le pinne ben distese e la livrea satura, specie se il pesce comincia a muoversi lentamente sfruttando le gorgonie come riparo e usando i soli movimenti ondulatori di due pinne: la seconda dorsale e quella anale. Il flash va puntato dall’alto o in ogni caso angolato in modo tale da non riflettersi sui fianchi del pesce, per evitare un bel colpo di luce sulla pellicola. La reazione al flash è serena o nervosa secondo i casi, ma un pesce “normale” in genere può concedersi tranquillamente per ripetuti scatti. Tuttavia, specie di notte, non conviene stressare un individuo con troppi lampi, pena lo stravolgimento delle sue condizioni di salute. Il comportamento del pesce, di giorno o di notte, è completamente diverso.

Fotografarlo con la luce del sole è sicuramente più complicato, avendo a che fare con una maggiore reattività dell’animale, ma gli sfondi blu della superficie nelle belle giornate creano un valido contrasto, in una bella immagine, con il giallo dorato della livrea; i disegni a linee longitudinali brune, che corrono dal capo alla coda allargandosi intorno alla caratteristica macchia nera posta al centro dei fianchi, sono inoltre molto più evidenti (di notte la livrea potrebbe apparire slavata). Fotografando e rifotografando più volte questi pesci ho imparato a conoscere molte delle loro abitudini più comuni e ad osservarli mentre si nutrono o quando dormono. Raramente ho avuto anche occasione di vederli in azioni di caccia, a dir poco esaltanti.

Lo Zeus faber è un predatore vorace e, anche se non particolarmente abile nel nuoto, è capace di ottimi scatti in velocità. Abbinando allo scatto in avanti l’estroflessione della bocca, grande e dotata di denti piccoli e aguzzi, oltre che abbondantemente protrattile, il pesce cattura la sua preda (che può esser una boga, una sardina o un’acciuga) in modo sorprendentemente rapido.

Abituato a vedere sui libri foto di esemplari morti o al limite disegni, capisco il perché della sua scarsa fama come pesce di rara bellezza. Tutta la grazia e la straordinaria eleganza di un San Pietro mentre nuota nel suo ambiente scompare all’istante se osserviamo la sua foto da cadavere… nei mercati ittici o sui banchi di spacci o ristoranti. Solo oggi, dopo alcune ore passate al suo fianco, posso comprendere questo mistero e cercare di celebrare la sua bellezza attraverso le immagini che questi pesci, pazienti e sornioni, mi hanno permesso di realizzare “in casa loro”.

Volendo descrivere le caratteristiche morfologiche di un pesce San Pietro, dopo gli anni di ripetuti contatti, procederei come di seguito. Con corpo ovale, compresso lateralmente e coperto di squame piccolissime, ha una linea laterale evidente che presenta un’ampia curva in alto. Il profilo anteriore è obliquo e la testa è relativamente grossa, con occhi non molto grandi posti vicino il margine superiore. Le aperture nasali sono vicine tra loro e la bocca è tagliata obliquamente, con mandibole prominenti e una protuberanza sotto la sinfisi. Molte le spine sparse sul corpo: sul muso, sulla nuca e sul margine preopercolare. Vi è una spina scapolare vicino all’estremità superiore dell’apertura branchiale e una omerale, al disotto della base della pettorale.

Sulla linea mediana del ventre si trova tutta una serie di scudetti ossei spinosi, con le punte dirette all’indietro. La pinna dorsale ha la prima porzione formata da raggi spinosi molto robusti, veri e propri aculei, con una spina basale da ogni lato; la membrana interradiale, quella posta cioè tra un raggio e l’altro della pinna, si prolunga invece in sottili filamenti, tanto maggiori quanto è più giovane l’esemplare. Quest’aspetto mi ha incuriosito più di altri nell’osservazione diretta di tali pesci ed ho notato, attraverso le mie immagini, delle differenze sulla morfologia delle pinne e della dorsale in particolare, con filamenti diversi, più o meno lunghi secondo l’età del pesce.

La pinna anale ha una porzione anteriore a raggi spinosi, che è praticamente indipendente, specialmente nei giovani. Alla base della porzione molle della dorsale e dell’anale vi sono, su ogni lato, una serie di placche ossee con spine biforcute alla base, variabili sia come numero sia come grandezza, talvolta anche sui due lati nel medesimo esemplare. La coda è ampia, spatolata e col margine posteriore arrotondato. Le pinne pettorali sono invece piccole e a ventaglio, mentre le ventrali sono molto lunghe e inserite poco innanzi alle pettorali. La colorazione è giallastra su base grigio argentea, con fasce più scure e con una macchia nerastra al centro dei fianchi, bordata da un alone biancastro. Il pesce San Pietro frequenta abitualmente fondali fangosi tra i 100 e i 300 metri di profondità, ma ama risalire a quote modeste durante la stagione fredda, frequentando in tal caso ogni tipo di fondale. Le uova sono galleggianti e planctoniche e si aprono quasi sempre in profondità. Le forme larvali sono planctoniche, mentre gli stadi giovanili divengono bentonici. Uno degli incontri più emozionanti è proprio quello con le forme giovanili: su fondi fangosi mi è capitato, molto di rado, di osservare e fotografare esemplari grandi non più di una moneta da 20 centesimi, vere e proprie miniature degli adulti ma con colori invertiti, variabili tra il giallo e il marrone.

Che dire: ogni incontro con un nuovo pesce di questa specie è sempre una novità e il fatto di aver scattato oltre mille immagini di Zeus faber mi ha dato la possibilità, attraverso la fotografia e l’osservazione diretta in natura e poi a casa, con l’analisi attenta delle foto, di carpire molte cose che nessun libro finora aveva saputo offrirmi. Sarebbero necessarie ancora molte righe per poter descrivere questa grande esperienza di vita, ma credo che il lettore possa già afferrare, con quanto presentato in questo spazio, il messaggio che ho voluto dare. Vivere il mare intensamente e con coscienza, al giorno d’oggi, credo sia la cosa più bella che ognuno di noi possa fare per conoscere e tutelare la vita sulla terra, ultimamente dimenticata da quella specie sovrana che qualcuno ha chiamato Homo sapiens sapiens!

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