Un incidente a mare. La grande bellezza e gli errori da evitare

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di Ninni Ravazza

Cronaca di una giornata che poteva essere bellissima oppure pessima, e che alla fine è andata meno peggio di quel che poteva essere. Parliamo ovviamente di mare. E degli incidenti che possono capitare anche a chi è o si sente esperto. Io sono tra questi ma …

 

Adoro la pesca a traina d’altura e la pratico da anni al largo di San Vito lo Capo: auglie imperiali, tonnetti alletterati, lampughe, palamite, tonni e pesci spada sono le prede possibili; a mare 99 volte su 100 vado da solo, io e la mia barca, uno splendido Calafuria 24 con due motori. Adoro la mia barca, la doppia motorizzazione mi fa stare tranquillo, anche perché la distanza da terra oscilla da 5 a 20 miglia. La domanda che mi fanno tutti è “perché vai a mare da solo? È pericoloso”. La risposta è sempre la stessa: non è facile trovare un compagno che abbia le mie stesse esigenze, la barca è sicura, e poi la verità è che mi piace andare da solo! Io, il mare e lei, la mia barca, “Rae”.

Veniamo all’incidente, che quest’anno è il secondo, una prima volta un pesce abbastanza grosso mi aveva infilato un amo nella mano dibattendosi quando l’ho tirato a bordo, a 9 miglia da terra. Per puro caso non ero solo, e il compagno mi liberò dal pesce che era intimamente attaccato a me. Con l’amo conficcato nella mano destra tornammo di corsa a terra e i medici del pronto soccorso mi fecero un’incisione e levarono l’amo. Il giorno dopo ero nuovamente a mare.

Il 24 dicembre, vigilia di Natale, dopo giorni di tempesta il mare abbonacciò, io avevo preparato la barca e alle 9 ho mollato gli ormeggi, rotta 360 gradi. Arrivato a 6 miglia da terra i pesci cominciano ad attaccare le esche sulle due canne: un minnow celeste da 19 cm a 70 braccia dalla poppa, e un minnow testa rossa da 17 cm a 35 braccia; una canna da traina da 15-20 libbre per la lenza lunga, una da jigging da 300 grammi sulla corta, mulinelli Penn. A 6 miglia e mezzo partono le due canne, da come tirano devono essere pesci molto grossi … li recupero uno alla volta e realizzo che si tratta di lampughe da 4 chili e passa, che fanno una forza enorme, come pesci grossi più del doppio. A 10 miglia prendo la terza lampuga, stesso peso, stessa reazione violenta e forte. Si tratta di una giornata eccezionale, perché in questo periodo – come sanno bene i pescatori – le lampughe difficilmente si fanno attirare da esche artificiali. Inizio il ritorno a terra e faccio la stessa rotta anche perché avevo visto diverse lampughe grosse saltare fuori dall’acqua. A poco meno di 7 miglia partono nuovamente le due canne, quella leggera da jigging, alla sinistra rispetto alla prua, è curva proprio a 90 gradi; è la più corta, tiro questa lenza per prima. Il portacanne è molto avanzato rispetto all’altro e posto quasi orizzontale, e devo recuperare la canna stando a poppavia. La trazione del pesce è fortissima, non riesco a tirar fuori la canna, faccio forza con entrambe le mani dando le spalle a poppa, e guardando nel contempo l’altra canna sempre flessa per il pesce che si tira un po’ di filo dal mulinello … faccio forza ancora, spingo con la mano destra impugnando la canna con la sinistra, non esce, centimetro dopo centimetro porto la canna flessa come un arco fuori … e parte velocissima verso poppa, tirandosi dietro la mia spalla sinistra, già danneggiata una quindicina di anni addietro da diverse sub lussazioni. Stavolta la spalla esce tutta quanta dalla sua sede, è una lussazione con i fiocchi. Non ho mollato la canna, e ho la forza di metterla nel portacanne verticale incassato sul bordo della barca. Non so cosa fare, il braccio è quasi inservibile, sono a 7 miglia da terra con due grossi pesci in canna, il dolore è notevole. Mi siedo un attimo a poppa e cerco di razionalizzare: sono solo, nessuna barca a vista, ho una spalla fuori uso ma il dolore è sopportabile, per arrivare a terra ci vorrà poco meno di un’ora, se chiamo aiuto col telefonino ci vorranno due ore e mezzo come minimo. Non voglio mollare, e non voglio perdere i pesci. Il motore acceso è al minimo, le due lenze divergono e non tendono ad aggrovigliarsi, io cerco di fare rientrare la spalla puntando il gomito sul pagliolo, ma non se ne parla. Comincio a sudare freddo, mi gira la testa, mi fermo qualche minuto, poi decido di non arrendermi – che posso fare? mettermi a piangere non servirebbe, svenire nemmeno – e mi metto a recuperare la lenza più lunga: faccio forza sulla canna col braccio destro e recupero centimetro su centimetro col sinistro (uso mulinelli con leva a sinistra), il braccio lussato fa male, ma piano piano dopo una ventina di minuti porto il pesce sotto bordo, è un capone da circa 5 chili … l’altra canna è sempre curvata segno che il pesce non ha mollato. Il braccio fa male ma è sopportabile. Ora si tratta di mettere il primo capone a bordo, e qui ci si mette la sfortuna, vedo che le ancorette del minnow da 19 sono quasi tutte uscite, il pesce si sta liberando ed è necessario ricorrere al raffio: con quale braccio? Col destro ho afferrato il finale della lenza, il sinistro non lo posso usare. E’ un attimo, provo a tirare a bordo il pesce alzandolo con la lenza, ma appena lo tiro fuori dall’acqua si libera e dopo un attimo di smarrimento sparisce nel blu. Tanta sofferenza per niente. Resta l’altro, quello che mi ha lacerato la spalla. Afferro la canna e inizio a pompare il pesce che intanto s’è tirato un bel po’ di trecciato, alza abbassa, recupera centimetro su centimetro, il braccio lussato regge, fa male ma riesco a far girare il Penn 8000 a tamburo fisso (l’altro è un rotante), ci vogliono ancora venti lunghissimi minuti per portare il pesce sottobordo, qui fa due fughe passando sotto la barca, riesco a sfilare la lenza di poppa tenendo la canna con la mano destra, intanto ho fermato l’elica. Continuo a sudare freddo e mi faccio forza per non svenire. Una volta la lenza si blocca, dev’essere finita nel timone o nell’elica, penso di aver perduto anche il secondo pesce … ma dopo un attimo la sento nuovamente in tiro. Ora il capone killer è sotto bordo, vedo le ancorette del testa rossa ben piantate, afferro forte il terminale e tiro la preda a bordo. E’ finita. Ora devo tornare a terra. Accendo il secondo motore e via verso il porto. Quaranta minuti di navigazione usando un braccio solo, la telefonata al marinaio Peppe perché mi aiuti ad attaccare le cime e tagli a tranci i pesci catturati. Faccio l’ormeggio senza difficoltà, Peppe lega le cime alle bitte e taglia i pesci, io mi faccio accompagnare alla guardia medica dove confermano ciò che sapevo: brutta lussazione, bisogna andare in ospedale … niente ambulanza dico, c’è chi mi accompagna. Invece torno a prendere i pesci tagliati a trance, e guidando con una mano passo da casa per fare mangiare i miei tre cani e otto gatti, poi via all’ospedale Sant’Antonio di Trapani, reparto ortopedia. Ma questa è un’altra storia, stavolta positiva perché l’assistenza è stata perfetta. Ora mi aspetta un mese di blocco totale, poi la riabilitazione … e poi? A mare, ovviamente. Ma questa esperienza mi ha insegnato diverse cose, da fare e da non fare, vediamole:

In generale

Andare a mare da soli è la cosa più bella che ci sia … ma non è detto che sia la più saggia. Io continuerò a farlo, ma se si ha la fortuna di avere una buona compagnia, è opportuno approfittarne. A me è andata bene con la lussazione, ma un infarto … un ictus …

Dire sempre a qualcuno dove si va, più o meno, e tenere i contatti fin dove è possibile: io lo faccio con mia madre e la mia compagna, che chiamo (o mando un wa) ogni paio di ore … e le avverto quando sto uscendo dal campo dei cellulari. Dopo tot ore di silenzio chiameranno i soccorsi. Portarsi sempre due cellulari, o un carica batterie.

Non andare troppo al largo con un solo motore e controllare bene le previsioni del tempo (io mi fido ciecamente del superforecast di windfinder, ormai sempre sott’occhio con i cellulari).

Superfluo dire che andando lontano da terra e potendo incontrare pesci grossi che fanno perdere tempo, la riserva di carburante deve essere di tutta sicurezza (io rifaccio nafta appena arrivo a metà serbatoi).

Nel particolare, ripensando al mio incidente

Il portacanne di sinistra era in posizione troppo avanzata, cosa che mi ha costretto a operare spalle alla poppa (dunque alla forza): per questo la canna balzata all’indietro mi ha strappato la spalla. Inoltre il portacanne era quasi parallelo alla superficie del mare, imponendo un movimento del braccio scorretto. Ho realizzato che bisogna operare sempre con la fronte alla fonte di forza.

La frizione dei mulinelli era tarata troppo alta, e così la forza del pesce si è caricata tutta sulla canna, se il filo fosse uscito più agevolmente la pressione sarebbe stata inferiore e la frustata sul braccio meno violenta.

 

Va bene, lo giuro, questi errori non li faccio più …

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