Fisiologia del nuoto. Problematiche cliniche negli sport acquatici

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L’esercizio in acqua, inteso anche come ginnastica in acqua che possa essere praticata anche da chi non sa nuotare, si e’ rivelato molto adatto sia per scopi ricreativi sia per quelli riabilitativi per la quasi totale mancanza di rischio di traumi. Senza entrare nel dettaglio delle attivita’ che possono essere organizzate, appare opportuno richiamare alcuni principi di fisiologia legati all’immersione del corpo in acqua.

Durante l’immersione in posizione eretta, la pressione idrostatica determina una redistribuzione del volume ematico verso il torace di diverse centinaia di ml (1). Questa redistribuzione ha effetti sulla frequenza cardiaca, sulla gittata cardiaca, sulla pressione arteriosa e sulla capacita’ vitale polmonare. A riposo, partendo da una gittata cardiaca di 5 l/min a secco, un progressivo aumento della gittata cardiaca e’ stato osservato durante l’immersione graduale. La gittata aumenta infatti a 5.7, 7.4 e 8.3 l/min rispettivamente per l’immersione sino al bacino, all’apofisi xifoidea ed al collo (2). Nei primi due stadi di immersione la frequenza cardiaca diminuisce per il riflesso determinato dall’aumento della gittata cardiaca e della pressione arteriosa. Durante l’immersione sino al collo, la frequenza cardiaca ritorna ai valori normali perche’ l’ulteriore stiramento della parete atriale per il maggior riempimento cardiaco determinano il riflesso di Bainbridge ad azione cardioacceleratrice (1). Dopo un brevissimo adattamento, le resistenze periferiche diminuiscono di circa il 30 %, ma l’aumento equivalente della gittata cardiaca, per un aumento del 30 – 35 % della gittata sistolica, mantiene una pressione arteriosa praticamente equivalente a quella misurabile a secco (1). Durante l’esercizio sub-massimale in immersione sino al collo, la gittata sistolica, pur senza ulteriori incrementi, si mantiene piu’ elevata di quella osservata a secco a pari intensita’ relativa; la frequenza cardiaca e’, invece, minore rispetto allo stesso carico relativo a secco espresso in percentuale del VO2 max (1). La differenza e’ di circa 10 -15 battiti al minuto: di questa differenza e’ importante tenerne conto nella valutazione del carico di lavoro tramite frequenza cardiaca. Fra gli altri effetti, l’ immersione a riposo determina, sempre per effetto dello stiramento della parete atriale, un aumento di circa 2 volte dell’ormone natriuretico atriale che stimola la diuresi (3). Infine, e’ importante ricordare che nell’immersione sino al collo a riposo sono state osservate riduzioni della capacita’ vitale polmonare (sino al 9 %), del volume di riserva espiratoria (sino al 38 %) e del volume residuo (16 %) attribuite alla salita del diaframma ed all’aumento del volume ematico polmonare (4). Cio’ condiziona anche il volume corrente durante l’esercizio in immersione, che appare diminuito del 5 – 10 %, e determina la necessita’ di aumentare la frequenza ventilatoria per raggiungere i valori di ventilazione polmonare adatti alle richieste metaboliche dell’esercizio (1). IL COSTO ENERGETICO NEL NUOTO

L’obiettivo fondamentale del nuotatore e’ quello di coprire la distanza di gara nel minor tempo possibile, cioe’ di sviluppare la massima velocita’ media per quella distanza. La velocita’ che egli puo’ sviluppare dipende, come nelle altre forme di locomozione umana, dal seguente rapporto:

 

potenza sviluppata dal nuotatore

velocita’ = ——————————————–

costo energetico della nuotata

 

Infatti, se la potenza erogata viene espressa in energia al secondo ed il costo energetico in energia per metro percorso, il loro rapporto esprime la velocita’ in metri al secondo. Secondo questa semplice formula, per aumentare la velocita’ del nuotatore e’ necessario incrementare la potenza sviluppata e/o diminuire il costo energetico della sua nuotata.

Il nuoto e’ la forma di locomozione umana piu’ lenta. Questo dipende essenzialmente dal fatto che la resistenza che si oppone al movimento e’ circa 800 volte superiore in acqua che in aria dal momento che la densita’ dell’acqua e’ altrettante volte maggiore di quella dell’aria (998.2 contro 1.205 kg/m3). Inoltre, il rendimento energetico globale del nuoto e’ notevolmente inferiore a quello delle altre forme di locomozione come la marcia, la corsa od il ciclismo: esso ammonta al massimo al 10 % contro il 25 % o piu’ delle altre modalita’ di spostamento. Questi due fattori determinano che la quantita’ di energia necessaria per coprire una certa distanza a nuoto (per esempio un km) e’ maggiore di quella che serve per coprire lo stesso tratto a piedi o in bicicletta. Quindi, a parita’ di potenza muscolare fornita, la velocita’ di spostamento sara’ minore.

Il costo energetico del nuoto puo’ essere espresso in kJ per metro percorso (kJ/m). Esso e’ relativamente costante sino a velocita’ di circa 1 m/s per aumentare in modo esponenziale con l’aumento della velocita’ (5). Esiste una notevole variabilita’ individuale del costo energetico del nuoto: a seconda del livello tecnico del nuotatore esso puo variare anche del 260 % (5). Naturalmente, i nuotatori dotati di migliore tecnica hanno un costo energetico piu’ basso. Cio’ rende inaffidabile l’eventuale calcolo individuale del costo calorico del nuoto secondo le tabelle di riferimento. A titolo di esempio, in un gruppo di 8 nuotatori di buon livello di sesso maschile e’ stato misurato un costo energetico del crawl di 1.04 (SD 0.12) kJ/m alla velocita’ di 1.42 m/s (6) che corrisponde a circa 1270 Kcal consumate in un’ora di nuoto effettuate costantemente a quella velocita’ per coprire 5112 metri.

Il crawl e’ comunque lo stile di nuoto piu’ economico sia nei nuotatori modesti che in quelli piu’ evoluti. Nei nuotatori di modesto livello il dorso e’ solo un poco piu’ dispendioso del crawl (circa il 15 %), mentre la rana e soprattutto il delfino sono gli stili meno economici con un costo energetico quasi doppio rispetto al crawl (5). Nei nuotatori di alto livello i rapporti fra i diversi stili sono un po’ diversi: dai dati pubblicati recentemente da Capelli e coll. (6) si ricava che alla velocita’ di 1.5 m/s il costo energetico del nuoto e’ di 1.23 per il crawl, 1.47 per il dorso, 1.87 per la rana e 1.55 per il delfino, per valori espressi sempre in kJ/m. Quindi, in soggetti dotati di buona tecnica natatoria il costo energetico dello stile a delfino si riduce molto e lo stile a rana e’ il meno economico per via del recupero subacqueo degli arti superiori.

Nelle donne il costo energetico del crawl e’ del 30 % circa inferiore a quello degli uomini a parita’ di velocita’ (5). Questo fatto fu gia’ osservato da Liljestrand e Stenstrom nel 1919 (7) e dipende da fattori antropometrici legati alla differente distribuzione del grasso corporeo nei due sessi. Quando si assume una posizione orizzontale in acqua, il torace tende a galleggiare mentre gli arti inferiori tendono ad affondare. Nelle donne, queste tendenza all’affondamento e’ minore rispetto agli uomini per la maggiore quantita’ di grasso corporeo su natiche e cosce. Cio’ riduce la spesa energetica per mantenere il corpo nella posizione idrodinamicamente piu’ vantaggiosa per l’avanzamento.

FATTORI DA CUI DIPENDE IL COSTO ENERGETICO

La prima cosa da considerare riguarda il fatto che, come gia’ detto, il nuotatore deve vincere la resistenza opposta dall’acqua all’avanzamento. Questa resistenza, chiamata “drag” (Ad), dipende dalla velocita’ del nuotatore e da una costante (K) che varia da individuo ad individuo. Il drag viene quindi espresso matematicamente dalla seguente formula:

Ad=Kvn (1)

nella quale il valore di n e’ compreso fra 1 e 2. Il valore di K dipende da fattori antropometrici e tecnici. Fra quelli antropometrici, esso e’ correlato positivamente con la superficie della sezione trasversa del corpo del nuotatore e negativamente con la sua altezza (8), dipende dalla tendenza all’affondamento degli arti inferiori (5), ma puo’ essere condizionato dalla tecnica della nuotata. A questo proposito i fattori individuali che condizionano il suo valore comprendono la simmetria del gesto e le oscillazioni del corpo sui piani perpendicolari alla direzione di avanzamento durante la nuotata (8). Secondo alcuni Autori il valore di K puo’ diminuire nello stesso nuotatore correggendo i difetti tecnici della nuotata (8,9). I valori di K piu’ bassi sono stati osservati nelle donne in rapporto a quanto precedentemente esposto sul loro migliore galleggiamento (8). Dai dati di Capelli e coll. (6) su nuotatori di buon livello tecnico, assumendo un rendimento globale del 8 % e considerando un valore di n uguale a 2, si puo’ calcolare che i valori di K sono di 44 per il crawl, di 51 per il dorso, di 62 per la rana e di 58 per il delfino. I valori di Ad sono espressi in newton (N) e sono dell’ordine di 100 – 200 N alle velocita’ di gara. Dalla analisi precedente, si ricava che i valori teorici di drag nella popolazione studiata, per prestazioni corrispondenti ai record mondiali maschili sulla distanza dei 100 metri, sarebbero di 186 N nel crawl, di 175 N nel dorso, di 168 N nella rana e di 221 N nel delfino.

La seconda cosa da cui dipende il costo energetico e’ legata al fatto che l’acqua non offre un punto di appoggio fisso su cui la mano e l’avambraccio, all’inizio della bracciata, possano esercitare la presa per spingere il corpo in avanti. Quindi, una parte del lavoro viene semplicemente sprecata per spingere l’acqua verso i piedi. Il rapporto fra il lavoro sviluppato per vincere la resistenza dell’acqua all’avanzamento ed il lavoro totale (cioe’ la somma di quello per vincere la resistenza piu’ quello “sprecato” per spostare acqua all’indietro) si chiama efficienza di propulsione (ep). I nuotatori di alto livello hanno valori di Ep nell’ordine di 0.4 – 0.6 (8,10). Cio’ significa che solo la meta’, circa, del lavoro esterno effettuato dal nuotatore e’ realmente efficace per spingere in avanti il corpo. Questo spiega il fatto che il rendimento energetico globale del nuoto e’ notevolmente inferiore a quello di altre forme di locomozione.

Un indice semplice della efficienza di propulsione e’ rappresentato dalla distanza percorsa dal nuotatore per ciclo di bracciata (8,11). Il dato puo’ essere calcolato facilmente considerando la velocita’ di spostamento (escluse la partenza e le virate) e misurando la frequenza del ciclo di bracciata. Come in tutte le discipline sportive di carattere ciclico, infatti, la velocita’ (v: m/s) e’ espressa dal prodotto della frequenza (Sf: cicli/s) per la distanza per ciclo (Ds: m/ciclo) e, quindi, quest’ultima puo’ essere calcolata dal rapporto fra v e Sf. I nuotatori migliori presentano i valori di Ds in competizione piu’ alti (11).

CONTRIBUTO ENERGETICO NELLE DIVERSE DISTANZE DI GARA

Le diverse gare del programma olimpico richiedono differenti contributi dei vari sistemi energetici. Nella tabella 1 sono riportati i contributi dei vari sistemi energetici secondo quanto calcolato da Capelli e coll. (6) per distanze sino a 200 yards nei quattro stili di gara. I valori riportati nella tabella, sicuramente applicabili anche alle distanze in metri, mostrano il notevole contributo anaerobico per la fornitura energitica nella gara piu’ breve, ma anche che la componente aerobica e’ consistente gia’ dai 100 metri (o yards) e che essa rappresenta il contributo principale per i 200. Per le distanze di gara superiori ai 200, e’ noto che il contributo aerobico rappresenta la quota di gran lunga piu’ importante.

L’importanza delle qualita’ aerobiche per le distanze pari o superiori ai 200 e’ confermata dalla significativita’ delle correlazioni fra la velocita’ corrispondente a 4 mmol/l di lattacidemia e la velocita’ in competizione per le distanze dei 200, 400, 800 e 1500 metri a crawl, ma non per i 100 metri, in gruppi omogenei di atleti di alto livello di entrambi i sessi (12). Dati personali di Mognoni mostrano che la prestazione sulla distanza dei 100 metri e’ maggiormente correlata con il Vo2 max che con la velocita’ corrispondente alle 4 mmol/l in atleti di medio livello tecnico. In generale, comunque, il valore predittivo delle valutazioni aerobiche per la prestazione di gara su distanze inferiori a 200 metri appare piuttosto modesto. Per le distanze brevi (50 e 100 metri, soprattutto per i 50) sembra piu’ efficace la valutazione della potenza muscolare sviluppata in acqua contro un carico esterno secondo la metodica di Hopper e coll. che si mostra ben correlata con la velocita’ di gara nei quattro stili sulle 50 yards (13) e sui 50 e 100 metri (Mognoni, dati personali).

I valori di lattacidemia post-competizione in nuotatori di alto livello di entrambi i sessi sono mostrati nella Tabella 2. Essi sono riferiti a prelievi di sangue capillare effettuati dopo la gara nelle diverse distanze previste dal programma olimpico per lo stile libero (12).

Tabella 2. Lattacidemia post-competizione (valori medi e deviazioni standard, mmol/l) in nuotatori di entrambi i sessi di alto livello nelle gare a stile libero (12).

Maschi
Femmine
50 (a) 10.4 + 2.6 (n=13)
c,ee
10.0 + 2.0 (n=14) c,ee
100 (b) 11.8 + 2.4 (n=28)
ee *
10.0 + 1.7 (n=23) cc,ee
200 (c) 12.4 + 2.6 (n=24)
a,ee *
  8.4 + 2.0 (n=19) a,bb
400 (d) 11.2 + 3.1 (n=24)
ee *
  8.8 + 2.2 (n=18) e
1500/800 6.5 + 2.9 (n=14) tutti   7.2 + 2.4 (n=9) aa,bb,d

 

Student “t” test per dati non appaiati: ogni gara e’ indicata da una lettera alfabetica (a-e); quando c’e’ una differenza statisticamente significativa, la distanza confrontata e’ indicata con la lettera corrispondente (una lettera per p<0.05, due per p<0.01). * maschi vs femmine p<0.01.

Per motivi logistici, in quello studio in cui furono raccolti 417 prelievi di sangue nel corso di due competizioni nazionali, la raccolta di sangue capillare e’ stata standardizzata 5 minuti dopo il termine della gara. Dal momento che il picco di lattacidemia puo’ non coincidere con tale tempo, la maggior parte dei valori raccolti potrebbe essere sottostimata. Comunque, osservazioni successive non pubblicate su 18 nuotatori, che gareggiavano su distanze comprese fra 100 e 400 metri, mostrarono un tempo corrispondente al picco individuale di lattacidemia di 6.38 + 2.00 dalla fine dello sforzo. Il tempo di prelievo, quindi, giustifica solo in parte le notevoli differenze fra i valori medi presentati e quelli osservati in altre discipline sportive, quali la corsa ed il canottaggio, che sono ben piu’ elevati (14). Questa differenza potrebbe essere attribuita soprattutto alla minore massa muscolare attiva impegnata nel nuoto (12). I valori individuali piu’ alti da noi osservati, in ciascun sesso, sono stati di 21.3 mmol/l in un ranista e di 17.3 in una stileliberista, entrambi al termine di una competizione sulla distanza di 100 metri, rispettivamente dopo 8 e 6 minuti dalla fine della gara. Nel nostro studio gia’ citato (12), i maschi presentavano valori di lattacidemia superiori rispetto alle femmine per le distanze dei 100, 200 e 400 metri. Cio’ potrebbe essere in relazione ad un diverso profilo glicolitico e/o una superiore capacita’ di ossidare lattato nella popolazione femminile studiata, composta prevalentemente da fondiste che si cimentavano anche sui 100 metri, rispetto a quella maschile. Oppure, piu’ semplicemente, i valori inferiori di lattacidemia potrebbero essere in relazione alla minore massa magra delle ragazze dal momento che le differenze si annullano se i valori stessi sono normalizzati per il peso corporeo.

Sebbene il valore della lattacidemia dopo sforzo massimale non esprima direttamente la capacita’ anaerobica muscolare, e’ ragionevole assumere che una lattacidemia post-competizione piu’ elevata in un determinato atleta per una determinata distanza di gara rappresenti un’indicazione di un maggiore contributo del meccanismo anaerobico lattacido all’energetica globale. Infatti, in nostri dati in corso di revisione, la maggior parte dei nuotatori e delle nuotatrici (in totale 35 su 45, 77.8 %) presentavano il piu’ elevato valore di lattacidemia post-competizione in concomitanza con la loro migliore prestazione nella gara principale della stagione, come gia’ osservato da altri Autori (15). Cio’ potrebbe essere dovuto all’interazione di molti fattori. Fra questi: una superiore attivita’ enzimatica del metabolismo anaerobico e una maggiore capacita’ di “pompare” lattato fuori dalle fibre come conseguenza della preparazione specifica (16, 17), una maggiore quantita’ di glicogeno muscolare conseguente alla diminuzione del volume di lavoro nella fase finale di preparazione (16, 17, 18), nonche’ fattori psicologici legati ad una superiore motivazione nell’affrontare la gara principale (17, 18). A questo proposito, si deve anche considerare che un elevato volume di allenamento modifica i livelli plasmatici basali del cortisolo e le prestazioni di gara sulle distanze più brevi in maniera opposta. Infatti, la diminuzione del carico di allenamento, prevista per favorire gli adattamenti prima della competizione principale determina l’abbassamento del cortisolo e un miglioramento della prestazione di gara con un maggiore accumulo di lattato ematico al termine dello sforzo. Ciò suggerisce che la diminuzione del cortisolo sia un prerequisito per gli adattamenti nel campo anaerobico .

Marco Bonifazi Responsabile Nazionale Commissione Medica F.I.N. – Roma

 

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