L’immersione in apnea tra sport e turismo. Problematiche cliniche negli sport acquatici

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In questo ultimo decennio è stato riscontrato un notevole incremento dell’attività svolta in ambiente acquatico a tutti i livelli, e l’attenzione maggiore è stata rivolta al mondo subacqueo, con particolare interesse all’attività in apnea.

Attualmente è un fenomeno di moda che trova certamente nella crescita della vacanza da villaggio turistico la prevalente motivazione di tale incremento.

In queste realtà vengono proposti con intensivi programmi, limitati alla settimana di permanenza al villaggio, da parte di diverse figure di Istruttori, tecnici, atleti, psicologi, allenatori ed altri esperti, l’acquisizione di nozioni che permettono di affrontare con professionalità ed esperienza il mondo subacqueo.

Inoltre il rilascio di attestazioni che riconoscano il raggiungimento di un certo livello di conoscenze e preparazione tecnica, può permettere negli anni un approfondimento ed un perfezionamento di tali tecniche, che incentivano a frequentare sempre più i fondi marini.

Il maggiore sviluppo dell’immersione in apnea rispetto all’immersione in A.R.A. (Autorespiratori ad Aria) è dovuto all’eco riverberante destata nell’uomo qualunque dalle imprese dei profondisti che sempre più hanno fatto affermare l’immagine della subacquea sportiva con quella dell’uomo da record, e all’affermazione sempre crescente delle gare da immersione in apnea, prevalentemente come pesca sportiva e foto subacquea.

E da sottolineare il ruolo assunto in Italia da apneisti famosi quali Enzo Maiorca ed Umberto Pellizzari, insieme ad altri, nel valorizzare l’apnea come attività fondamentale per la cultura del subacqueo moderno, che hanno fatto affermare un modo innovativo di vedere lo sport subacqueo, basato sulla sicurezza e sulla conoscenza dell’immersione in apnea.

Questi uomini eccezionali hanno permesso alla classe medica di poter acquisire nuove conoscenze fisiologiche e tecniche della macchina umana, e hanno fatto superare i pregiudizi e i limiti fisiologici imposti dalle scarse conoscenze cliniche dell’uomo che si muove in un ambiente straordinario quale è il mondo subacqueo.

 

L’apnea è il modo più istintivo ed immediato per scendere sott’acqua. Apnea significa letteralmente “sospensione del respiro”. Infatti trattenendo volontariamente il respiro si può rimanere in immersione per un certo tempo (normalmente 1- 2 min., e nei soggetti allenati anche fino a 5 min.), sfruttando l’aria immagazzinata nei polmoni.

Sappiamo che l’aria atmosferica è composta per il 78% da azoto, per il 21% da ossigeno e da piccole quantità di gas rari (elio, argon, neon); l’anidride carbonica è presente in percentuale minima (0,03%).

L’aria contenuta negli alveoli polmonari ha una composizione ben diversa, infatti mentre rimane costante la percentuale dell’azoto e l’ossigeno scende al 15,4%, l’anidride carbonica arriva al 5,6%.

Ciò è dovuto alla miscelazione ed agli scambi gassosi che avvengono negli alveoli, dove il sangue si arricchisce di ossigeno e cede l’anidride carbonica, prodotta dai processi metabolici cellulari di tutto l’organismo.

Nel sangue l’anidride carbonica è presente in concentrazione che varia dal 5,1% (sangue arterioso) al 5,8% (sangue venoso). Al contrario si riscontra per la

concentrazione dell’ossigeno che è più elevata nel sangue arterioso (circa 21%), e più bassa nel sangue venoso (15%).

La normale meccanica respiratoria determina un continuo ricambio dell’aria alveolare con l’eliminazione di aria ricca di anidride carbonica e immissione di aria ricca di ossigeno. In tal modo le concentrazioni dei gas nei diversi comparti (alveoli, sangue arterioso, sangue venoso) si mantengono costanti.

Durante l’apnea non si verifica alcun ricambio dell’aria alveolare; e, dato che gli scambi gassosi non si interrompono, si ha una progressiva diminuzione della concentrazione dell’ossigeno, che continua ad essere prelevato dall’aria alveolare.

Se la concentrazione dell’ossigeno scende sotto il 10% nell’aria alveolare e, di riflesso, nel sangue, non è più sufficiente a consentire il funzionamento dei processi metabolici. Si verifica una condizione di ipossia (riduzione della concentrazione dell’ossigeno nel sangue arterioso), che è causa di sofferenza clinica.

Il cervello è l’organo più sensibile all’ipossia che, nel momento in cui subisce gli effetti negativi del calo della concentrazione dell’ossigeno, va incontro al disturbo più frequente per l’apnea prolungata, che è la sincope (perdita della coscienza).

Se l’ipossia non viene corretta in breve tempo può dare danni cerebrali persistenti gravissimi, portando anche all’exitus.

Per quanto concerne l’anidride carbonica, durante l’apnea la sua concentrazione nell’aria alveolare e nel sangue aumenta progressivamente (ipercapnia); e già un aumento della sua concentrazione ematica fino al 7% viene avvertita dall’organismo come “fame d’aria” .

I centri chemiotattici bulbari, che controllano la muscolatura respiratoria, vengono stimolati dall’aumento della pCO2 e ciò produce una serie di contrazioni spasmodiche della muscolatura, in particolare del diaframma (contrazioni freniche o diaframmatiche), che sono tentativi repressi di atti ventilatori.

Una concentrazione dell’8% già ostacola il funzionamento del cuore, diminuisce l’efficienza muscolare e favorisce l’obnubilamento mentale. A questo livello le contrazioni diaframmatiche tendono a scomparire, perché l’eccesso di anidride carbonica interferisce col funzionamento degli stessi centri bulbari.

Per livelli superiori (10-11%) si ha perdita di conoscenza e blocco del funzionamento dei centri bulbari (paralisi respiratoria centrale); successivamente si arresta l’attività cardiaca e si ha la morte.

La durata dell’apnea è quindi limitata da due fattori fondamentali: l’ipossia e l’ipercapnia.

È importante sottolineare che la progressiva diminuzione dell’ossigeno nel sangue (ipossia) non viene in alcun modo percepita dal nostro organismo fino al momento in cui, scendendo al di sotto del 10%, provoca la sincope.

Non ci sono segnali che ci avvertono dell’istaurarsi dell’ipossia, a differenza di quanto succede per l’ipercapnia, per la quale la comparsa delle contrazioni diaframmatiche agisce come un vero campanello d’allarme.

Vi sono altri fattori che pur essendo complementari, modificano il tempo entro cui agiscono i fattori fondamentali; essi sono da tenere in considerazione, in quanto modificano la durata dell’apnea:

– capacità vitale: la capacità vitale elevata rispetto alla struttura fisica dell’apneista fornisce molta più aria per gli scambi gassosi e quindi aumenta la durata dell’apnea;

– attività fisica: il movimento eccessivo aumenta il consumo di ossigeno e la produzione di anidride carbonica accelerando lo stato di ipossia e ipercapnia, per cui riducono il tempo di apnea;

– situazione ambientale: la durata dell’apnea a secco è maggiore rispetto a quella dell’apnea in acqua. Il freddo in acqua aumenta il consumo

di ossigeno e quindi riduce la durata dell’apnea;

– condizione psicologica: l’ansia e la paura determinano una notevole riduzione della capacità di apnea, spesso una vera e propria incapacità a mantenere un’apnea anche molto breve;

– profondità: un’immersione profonda determina maggiore consumo di ossigeno e maggiore produzione di anidride carbonica, quindi diminuisce il tempo di apnea, oltre alla modificazione degli scambi gassosi determinata dall’aumento della pressione del miscuglio respiratorio;

– iperventilazione: agisce modificando la concentrazione dei gas nel sangue; la iperventilazione permette di aumentare la quantità di aria respirata nell’unità di tempo (normalmente circa 8 litri/min.). L’iperventilazione è favorita da due fattori:

a) aumento del volume corrente: aria ventilata per ogni atto respiratorio;

b) incremento della frequenza respiratoria: numero di respiri per minuto.

 

L’iperventilazione comporta una completa eliminazione di CO2 dall’aria contenuta nei polmoni (riduzione di pCO2), senza modificare sostanzialmente la pO2.

La iperventilazione aumenta quindi la durata dell’apnea ritardando la comparsa dell’ipercapnia e delle contrazioni diaframmatiche.

Nel caso di iperventilazioni eccessive possono comparire disturbi, quali capogiri, formicolio alle labbra o alle mani, annebbiamento della vista, causati dalla vasocostrizione cerebrale indotta dall’ipocapnia (bassa pC02).

Risulta evidente che la conoscenza attenta delle regole per una razionale e sicura immersione in apnea da parte dello sportivo, oltre ad una gestione efficace di tale attività da parte delle strutture volte a tale scopo (FI-PSAS, Società Sportive, Diving, etc.) può favorire la rimozione diquegli inconvenienti che servono sempre più a dare sicurezza a chi pratica l’apnea.

Per questo motivo non è difficile prevedere l’affermazione non solo in Italia ma anche a livello internazionale, dell’apnea sportiva, con uno sviluppo ed interesse riservato prevalentemente ai due aspetti principali della subacquea moderna: lo sport ed il turismo.

Sicuramente, per favorire ancora di più la diffusione di tale attività in apnea, bisogna intervenire in alcuni punti indispensabili:

1) valorizzare l’apnea come elemento indispensabile per la sicurezza del subacqueo;

2) creare programmi e trial di studio per l’approfondimento medico scientifico sull’apnea;

3) organizzare un percorso didattico ben codificato per l’apneista ludico-ricreativo;

4) allargare gli obiettivi apneistici a forme di turismo moderno, quale l’archeologia subacquea, percorsi turistici sott’acqua, fotografia dei fondali della flora e della fauna marina, etc.

5) coordinare e centralizzare in modo collaborativo tutte le organizzazioni che operano nel campo dell’apnea, su territorio nazionale;

6) riqualificare tutte le figure professionali che operano nell’immersione in apnea, creando uno “staff tecnico” con competenze specifiche nelle varie materie del settore (medicina subacquea, psicologia dell’immersione, alimentazione negli sport acquatici, valutazione clinica, funzionale e tecnica, preparazione tecnica ed allenamento, etc.).

Nel prossimo futuro, l’obiettivo principale per la diffusione e l’affermazione dell’immersione in apnea, è quello di intervenire su quanto esposto, per dare una valida virata che permetta di passare dall’inevitabile improvvisazione della fase odierna, ad una solida professionalità necessaria al raggiungimento di un unico obiettivo che è quello di rendere sicuro e sempre più bello muoversi in ambiente acquatico, usando, nel modo migliore possibile, solo i mezzi che la natura ci ha fornito.

Paolo Sieli dottore specialista in medicina dello sport

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Un pensiero riguardo “L’immersione in apnea tra sport e turismo. Problematiche cliniche negli sport acquatici

  • 12 dicembre 2013 in 14:39
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    Egr. dott. Paolo Sieli,
    ho apprezzato il suo articolo. Lei di certo già conosce la realtà Apnea Academy e spero ne apprezzi la didattica e lo spirito. Sento comunque il dovere di “tenere alta” la bandiera della scuola di Pelizzari che mi fornisce formazione, docenti ed istruttori preparati ed encomiabili.

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